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Da quasi 30 anni (29, per l’esattezza) i sindaci e i consigli comunali si eleggono a suffragio universale e diretto, con un sistema a maggioranza assoluta. Con la legge n.81 del 25 marzo 1993 per l’elezione diretta dei sindaci, viene inaugurata una nuova stagione politica, che mirava a recuperare la reputazione persa con Tangentopoli.
Oggi c’è una differenza nel sistema elettorale per le amministrative tra piccoli centri e città più grandi. Infatti nei Comuni con più di 15 mila abitanti è eletto sindaco il candidato che ottiene il 50% più uno dei voti validi. Se nessuno degli sfidanti raggiunge questo quorum, allora si va al ballottaggio tra i due più votati. E per il ballottaggio i candidati possono dichiarare il collegamento ad altre liste rispetto a quelle già indicate alll’inizio.
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di
Giovanna Casadio
Nelle amministrative che si terranno il 12 giugno (insieme con i 5 quesiti referendari sulla giustizia), per chi non vince al primo turno, è previsto il secondo round il 26 giugno. In entrambi i turni il voto sarà in un giorno solo, seggi aperti dalle 7 alle 23. Sono 978 i Comuni chiamati alle urne: 142 oltre i 15 mila abitanti, 26 i capoluoghi di provincia tra cui 4 di Regione (Genova, Catanzaro, L’Aquila e Palermo).
Per i centri sotto i 15 mila abitanti l’elezione del sindaco e del consiglio comunale è sempre con sistema maggioritario secco, ma vince chi semplicemente ottiene più voti. Solo nel caso, piuttosto raro, di parità, si va allo spareggio e, se questo non dovesse bastare, diventa sindaco lo sfidante più anziano.
Alle amministrative quindi si vota il candidato sindaco o la lista collegata o entrambi. Nei centri piccoli, fino a 5 mila abitanti, si può esprimere una sola preferenza; negli altri sono possibili due preferenze ma con un avvertimento: devono essere di genere diverso, ovvero femmina/maschio, pena l’annullamento della seconda.
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Giovanna Casadio
E’ importante sapere che nelle città più grandi, ovvero con oltre 15 mila abitanti, si può fare il voto disgiunto, ovvero votare un sindaco e una lista non collegata, che magari appoggia un diverso aspirante primo cittadino. Nei Comuni più piccoli non è possibile. Qui nella composizione del consiglio i 2/3 dei seggi sono assegnati alla lista collegata al sindaco vincitore, gli altri sono attribuiti proporzionalmente alle diverse liste.
Tornando ai Comuni più grandi, oltre i 15 mila abitanti, non sono ammesse all’attribuzione dei seggi, le liste che corrono da sole e non abbiano raggiunto almeno il 3% dei consensi. Per il sindaco eletto è previsto un premio di maggioranza, quindi è assegnato il 60% dei seggi.
Ovviamente la composizione numerica dei consigli comunali, come del resto delle giunte, è in proporzione al numero di abitanti. Nel dossier preparato dall’Anci, l’associazione dei comuni italiani, sono elencate le proporzioni. Alcuni esempi. Nelle città con oltre un milione di residenti il numero dei consiglieri, escluso il sindaco, sarà di 48; da 500 mila a un milione ci saranno 40 consiglieri e così a decrescere fino ai 12 consiglieri nei paesi tra 3001 e 10 mila residenti e 10 consiglieri, se fino a 3 mila. Ugualmente saranno 12 gli assessori di giunta se la città ha più di un milione di abitanti e 2 soli se il paese ne ha fino a 3 mila.
Nella storia dell’elezione diretta dei sindaci va ricordato che il ricambio di classe dirigente nel giugno del 1993, appena varata la legge, fu formidabile. A Torino Valentino Castellani batté Diego Novelli; a Milano Nando Dalla Chiesa perse contro Marco Formentini della Lega di Bossi; a Catania Enzo Bianco ebbe la meglio su Claudio Fava. E dopo pochi mesi altro giro: vennero eletti sindaco un filosofo a Venezia, Massimo Cacciari; un imprenditore a Trieste, Riccardo Illy e un magistrato a Genova, Adriano Sansa. Comincia lì la stagione dei sindaci.