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PARIGI – C’è la determinazione comune, che è per entrambi anche necessità, di rilanciare una risposta europea alla nuova crisi, nel calore con cui Emmanuel Macron accoglie Mario Draghi nel cortile dell’Eliseo. «Salut Mario!», allarga le braccia il presidente francese mentre avanza verso l’auto da cui è appena sceso il premier italiano. Gli stringe il pugno mentre insieme salgono la breve scalinata, poi le pacche sulle spalle, l’abbraccio in favore di fotografi. Non è la prima volta, l’asse è consolidato. I due si sentono spesso, si consultano. Un «perfetto allineamento», aveva detto Draghi a marzo, tra gli stucchi di Versailles. Oggi non è più così. Si sono aperte crepe sui fondi per la difesa, sull’adesione dell’Ucraina all’Ue, c’è un disallineamento sull’atteggiamento da tenere rispetto a Vladimir Putin.
A questo serve la cena nei saloni dell’Eliseo, a riallinearsi. Ad arrivare al Consiglio europeo di fine giugno con una posizione comune su Kiev. E costruire sulla direttrice Roma-Parigi le basi per un accordo su un nuovo fondo europeo — un Recovery 2 o uno Sure 2 — che con risorse comuni consenta ai Paesi di fronteggiare la crisi energetica e, propone Macron, le nuove esigenze di difesa.
Nessuno Stato ce la può fare da solo, ripeterà anche oggi Draghi, da presidente della ministeriale Ocse a Parigi. Il premier, mentre si impegna a tener fede alla road map del primo Recovery plan, propone di finanziare con prestiti — non sussidi, tranquillizza i falchi del Nord — la risposta dei governi europei alla crisi energetica. Stanziare risorse non solo per le infrastrutture necessarie ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo, ma anche per abbassare la bolletta energetica di famiglie e imprese. Con l’imminente innalzamento dei tassi della Bce, quei fondi sarebbero una boccata d’ossigeno per l’Italia, scongiurerebbero la ricerca di prestiti sui mercati con uno scostamento di bilancio. Il premier sa di poter contare sul sostegno di Macron.
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di
Tommaso Ciriaco
,
Anais Ginori
Anche sulla proposta italiana, ancora allo studio della commissione, di un price cap, un tetto al prezzo dell’energia. Entrambi ritengono infatti insufficiente la risposta data con i 220 miliardi di RepowerEu, un avanzo del primo Recovery. Il presidente francese vuole dare una spinta, con “l’amico Mario” e nonostante un tiepido Olaf Scholz, a quella che all’Eliseo chiamano “l’agenda di Versailles”. Ed entrare in pressing con Roma anche per la riforma del patto di stabilità («Ci sarà una soluzione tecnica», c’è ottimismo nel suo entourage).
«Il primo Recovery è stato fatto sul Covid, ora potrebbe essere la Difesa comune uno dei grandi temi che Macron vuole portare avanti», spiega Alain Minc, consigliere ombra del leader francese che conosce bene anche l’ex presidente Bce. E guarda con attenzione alle prospettive italiane: «Tutti sono preoccupati per il dopo Draghi e i mercati lo dimostrano già — afferma — L’Italia poteva permettersi giochi politici finché la Bce creava denaro ogni giorno. Se lo spread sale al 4 o al 5% l’Italia non potrà più permetterselo. Un Recovery 2, con una maggiore integrazione dell’Eurozona, potrebbe blindare anche il rischio Italia che l’avvicinarsi delle elezioni politiche fa temere. La Germania non potrà porre un veto». Anzi. «Con una Germania più debole e un’Inghilterra assente, c’è uno spazio reale per fare cose in Europa», osserva Minc. «Se l’Italia mantenesse una leadership come quella di Draghi, la Francia e il Sud dell’Ue sarebbero un blocco molto potente con Spagna, Portogallo e Grecia». Ecco l’auspicio.
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Quanto al dossier Kiev, al tavolo dell’Eliseo si cerca di avvicinare le posizioni tra Roma — che sostiene l’adesione formale all’Ue dell’Ucraina e di altri sei paesi balcanici — e Parigi, che propone una “comunità politica europea”, un secondo anello di Paesi nell’orbita dell’Unione. È uno dei piatti forti della cena tra Macron, che ostinato ripete di non voler «umiliare Putin», e un Draghi realista e pessimista, che dubita della disponibilità del presidente russo a un negoziato. Entrambi in queste ore guardano alla Turchia, alla difficile partita dello sblocco dell’export di grano evitando ricatti russ