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Fabio Ridolfi è morto, in casa, nella sua stanza, mano nella mano al fratello Andrea, alla mamma Cecilia e al papà Rodolfo. Accompagnato dai medici dell’hospice di Fossombrone che dopo aver interrotto la nutrizione e l’idratazione l’hanno accompagnato con la sedazione profonda nell’ultimo viaggio. Intorno il silenzio della campagna di Fermignano, il vento dell’estate, davanti agli occhi, per l’ultima volta, le sue amate sciarpe della Roma, il manifesto dei suoi concerti, le foto della famiglia. Mamma, papà, Andrea, la sorella che vive in Irlanda: «Sono pronto e felice di morire, non vedo l’ora per me sarà una liberazione. L’unico mio grande dolore — aveva scritto con il puntatore oculare attraverso il quale da 18 anni comunicava con il mondo — è lasciare le persone che amo. So che soffriranno, ma saranno serene per me». In sei ore si è addormentato. Aveva offerto il suo corpo alla vista di giornali e tv Fabio Ridolfi, come estremo atto politico per protestare contro uno Stato che non gli concedeva di morire in pochi istanti con il suicidio assistito.
Assistito dall’Associazione Coscioni, Fabio Ridolfi, ex muratore, ex batterista, aveva chiesto e ottenuto dall’Azienda Sanitaria Unica delle Marche l’accesso al suicidio assistito, così come prevede la sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Dj Fabo. Ma dopo il sì del Comitato Etico, tutto si era fermato, nelle secche della burocrazia che avevano rallentato, così aveva detto Fabio, “oltre l’umana sopportazione” la sua scelta di morire. In particolare l’operazione si era arenata sulla scelta del farmaco.
Così Fabio Ridolfi, 46 anni, fermo in un letto da 18, tetraplegico a causa della rottura di una arteria, ha deciso di non aspettare più e ha chiesto di essere sedato. Una morte più lunga e non immediata, straziante soprattutto per i parenti. «Non siate tristi per lui, adesso è libero», ha detto però il fratello Andrea, che è stato la sua voce in questi infiniti diciotto anni. Ma alla vigilia dell’ultimo viaggio Fabio aveva voluto mandare un messaggio duro alle istituzioni: «È ora che in Italia si parli chiaramente di eutanasia. È atroce non poter decidere della propria vita, aspettare che altri lo facciano al posto tuo. Morire è un diritto, spero che la mia scelta serva ad aiutare tutti quelli che vivono la mia condizione».
«La sedazione profonda è stata una scelta di ripiego» hanno ricordato Filomena Gallo e Marco Cappato che parlano di «una serie di incredibili ritardi e di boicottaggi da parte del Servizio sanitario». Ha raccontato il suo medico curante, Giorgio Cancellieri, che l’ha accompagnato nella sedazione: «Abbiamo parlato con lui fino a quando si è addormentato, la sua famiglia è stata straordinaria». Alla notizia della sua morte a Fermignano, dove Fabio era conosciutissimo per il gruppo rock che aveva con il fratello Andrea hanno suonato le campane, così tutti hanno saputo che Fabio aveva smesso di soffrire.
Lucido fino alla fine, tifoso giallorosso come unico grande amore, Fabio potuto esaudire il suo ultimo desiderio: il saluto del capitano della Roma Lorenzo Pellegrini, che gli ha inviato un videomessaggio: «Sono in Nazionale e non potrò passare di persona, ma ti mando un grande saluto e un bacio». Fabio ha pianto, Cecilia forse gli ha asciugato le lacrime, così come faceva da 18 anni, mamma silenziosa e infaticabile che fino all’ultimo ha accudito e accarezzato quel figlio che parlava con gli occhi.