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Nei quartieri a rischio il centrodestra del nuovo sindaco di Palermo Roberto Lagalla sfonda. Lo fa a Brancaccio, dove venerdì è stato arrestato un boss in contatto con un aspirante consigliere di Fratelli d’Italia e dove il partito di Giorgia Meloni registra un exploit. Lo fa all’Uditore, dove abitava il capomafia che si era rivolto al candidato di Forza Italia arrestato un paio di giorni prima. Lo fa in un quartiere al limite come lo Zen. E in una campagna che secondo Lagalla è stata segnata da «un uso strumentale della questione morale» persino i politici finiti in cella nella settimana delle elezioni ricevono voti: 61 preferenze per il forzista Pietro Polizzi, che pure aveva detto di voler rinunciare alla corsa dopo essere finito in cella, addirittura 171 per il meloniano Francesco Lombardo, arrestato proprio mentre iniziavano i comizi di conclusione della campagna elettorale.
Nessuno dei due, ovviamente, ha ottenuto uno scranno in Consiglio comunale. Eppure c’è chi ha ritenuto comunque di doverli votare: tanto più che la candidata collegata a Lombardo per la doppia preferenza di genere, Teresa Leto (che non è coinvolta in alcun modo nell’inchiesta) ha persino sfiorato la conquista di un seggio in Consiglio comunale, arrivando prima dei non eletti in Fratelli d’Italia. Curiosa sorte: nella lista civica della sinistra, che non ha superato la soglia di sbarramento, il giudice che firmò il rinvio a giudizio di Marcello Dell’Utri, Gioacchino Scaduto, si è fermato a una manciata di preferenze, appena 300.
Risultati che riflettono l’exploit nei quartieri a rischio. A Brancaccio Lagalla supera il 60 per cento: il primo partito, qui, è FdI, che sfiora il 15 per cento, mentre la Dc di Totò Cuffaro si attesta oltre il 6. Allo Zen va appena peggio: il nuovo sindaco ottiene il 54,5 per cento, mentre Forza Italia supera il 16 e la lista di Cuffaro (che ha ottenuto l’elezione di tre consiglieri comunali) sfiora il 6 per cento. All’Uditore il risultato del candidato sindaco è più contenuto, 45,1, ma ci sono alcune sezioni con dati singolari: il boss al quale si era rivolto il forzista Polizzi era il fratello del padrone di casa di Totò Riina, e nella scuola che si trova a pochi metri dalla villa in cui fu catturato il capo dei capi ci sono seggi in cui la lista berlusconiana supera il 20 per cento.
L’ombra dei clan, del resto, ha caratterizzato tutta la campagna. I kingmaker della candidatura di Lagalla sono stati — nonostante le condanne per mafia — Cuffaro e Dell’Utri, che non hanno mancato neanche ieri di esultare per l’elezione di Lagalla: «Avevo semplicemente espresso un mio parere dicendo che l’ex rettore era il candidato più indicato — dice l’ex senatore forzista dopo l’elezione — Era il parere di un semplice cittadino. Invece, sono stato massacrato. Ma quale “ombra di Dell’Utri”? Semmai l’ombra di Dell’Utri ha illuminato le menti offuscate». Cuffaro, invece, si proietta già sulle Regionali siciliane, in programma in autunno: «Quando ci siederemo a un tavolo per ragionare insieme — osserva — faremo anche noi la nostra proposta: noi lavoreremo perché possa esserci un candidato donna. In ogni caso, al di là dei nomi, dovrà essere una candidatura condivisa da tutti e se a unire fosse il nome di Nello Musumeci non disdegneremo di stare con lui».
«Lagalla — ha annotato però subito dopo l’ufficializzazione dei risultati il vicesegretario del Partito democratico, Peppe Provenzano — ha il dovere di dire parole chiare e di prendere le distanze dai personaggi impresentabili. Se la sedia restasse vuota alla commemorazione di via D’Amelio non sarebbe mai davvero sindaco di Palermo». Il riferimento alla sedia vuota non è casuale: il 23 maggio il nuovo sindaco ha disertato il trentennale della strage di Capaci e il 19 luglio è atteso all’anniversario di quella in cui nel 1992 morirono Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. «Quel giorno — ha detto a caldo — parteciperò al memoriale».