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Forza Italia in rosso: 100 milioni di debiti. Il tesoriere: “Torniamo al finanziamento pubblico dei partiti”

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Una valanga di debiti – oltre 100 milioni di euro – spinge Forza Italia, partito simbolo della Seconda Repubblica, a provare a resuscitare un feticcio della Prima. Un feticcio molto conveniente: il finanziamento pubblico dei partiti. “Non c’è altra via… Una qualche forma va ripristinata, sennò come paghiamo la campagna elettorale?”, scuote la testa Alfredo Messina, ex uomo Fininvest, senatore azzurro, soprattutto tesoriere del partito di Silvio Berlusconi. Lunedì l’ufficio di presidenza di FI ha varato il bilancio. Lacrime e sangue, ancora. Il rendiconto 2021 non è ancora pubblico, ma da quanto risulta a Repubblica, si chiude in profondo rosso. La creatura politica del Cav è schiacciata da 100 milioni di debiti, oltre 90 in pancia all’ex premier, rilevati nel 2018 per evitare che i conti finissero di nuovo pignorati, impedendo al partito qualsiasi margine di manovra, una qualunque iniziativa o kermesse.

Il documento per ora è chiuso nei cassetti del quartier generale di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma, ma entro luglio sarà pubblicato sul sito del partito, come prevede la legge sulla trasparenza. Contiene l’elenco dei finanziamenti che sono arrivati dai parlamentari. Troppo pochi. Perché quasi un eletto su 3, fra deputati e senatori, è moroso. Non versa la quota, teoricamente volontaria, ma richiesta a tutti i beneficiari di una carica pubblica. “E il contributo che chiediamo noi è tra i più bassi, guardate gli altri”, si rammarica Messina. Appena 900 euro al mese, a fronte dei 2mila chiesti dal Pd e dei 3mila che versano gli eletti della Lega, anche per far fronte alla storiaccia dei 49 milioni da rimborsare allo Stato. I nomi dei morosi del 2021 sono top secret. Il tesoriere non vuole fare l’elenco. Ma già il rendiconto del 2020 aveva svelato gli ammanchi, in alcuni casi imbarazzanti. Nella lista dei donatori non figuravano diversi big azzurri, come la ministra del Sud, Mara Carfagna, (“stiamo verificando col commercialista”, la replica dello staff) e addirittura della seconda carica dello Stato, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.

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Non è solo per colpa dei bonifici dimenticati da deputati e senatori che il partito si ritrova con la cassa vuota. “Il problema è strutturale – riprende Messina – Con il 2 per mille arranchiamo, raccogliamo poco, servirebbe una campagna di comunicazione seria tra i nostri elettori”. Ma neanche questo basterebbe. Il sogno, detto per ora quasi sotto voce, è quello di tornare all’antico. Al finanziamento pubblico, magari non come quello della legge Piccoli del ’74, cassato dagli elettori con il referendum del 1993. Ma una forma rivista e corretta. Messina parla di “modello tedesco”, con un “rimborso ai partiti politici, parametrato a quanto viene speso in campagna elettorale. Tutto certificato, trasparente”. Il tesoriere di FI sa che la partita politica è complessa, la materia è scivolosa. “Il primo che lo propone di solito finisce bersagliato dagli altri”. Sono tempi così, soffia ancora forte il vento anti-casta, vedi la sforbiciata al numero dei parlamentari ratificata via referendum nemmeno due anni fa. Eppure un tentativo, è convinto, va fatto. “Entro la legislatura qualche finestra per votare una riforma potrebbe esserci. Non serve una corsa a riempire di soldi i partiti, nessuno vuole tornare ai tempi in cui si spendeva un milione di euro per affittare palco e maxi-schermo a piazza del Popolo, ma oggi con un milione ci copriamo a stento una campagna elettorale. In gioco – dice l’uomo dei conti di Forza Italia – c’è la democrazia”.

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