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“L’unica spiegazione logica e plausibile della dinamica degli eventi – ha scritto la giudice Daniela Monaco Crea dopo avere interrogato Martina Patti – è che Elena sia stata vittima di un preordinato gesto criminoso, meditato e studiato”. Sotto accusa, c’è la madre “che, già a partire quanto meno dalle 13, si era infatti procurata gli attrezzi per scavare la buca, aveva individuato un luogo impervio e isolato dove seppellire il cadavere e che, uscendo da casa in compagnia della figlia ancora viva, aveva portato con sé un coltello e ben cinque sacchi della spazzatura necessari per la completa esecuzione del delitto, aveva poi occultato l’arma e posto in essere la condotta di lucido depistaggio attuata dopo essersi ricomposta”. Una “condotta che non appare minimamente estemporanea, ma che risulta meditata e studiata e conseguenza di una estrema lucidità”. Fra tanti non ricordo, ha solo accennato: “Non volevo guardare, mi sono girata mentre la colpivo”. E ammette di esserci rimasta male dopo aver visto sui social una foto dell’ex con la nuova compagna: “Elena mi ha detto che quando era con lui c’era anche lei”. Potrebbe essere stata la molla che l’ha portata a quel gesto estremo.
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Ma perché tanta violenza, si chiede la giudice. Una violenza senza un’apparente giustificazione. “La descrizione degli eventi non riflette una chiara causale scatenante il gesto delittuoso – precisa la gip di Catania – ciò non può non refluire sulla valutazione della spinta al reato, che manca totalmente di quel minimo di consistenza che possa consentire alla coscienza collettiva di operare un collegamento minimamente accettabile con tale innaturale azione criminosa”.
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Scrive ancora la giudice: “Uccidere un figlio in tenera età, e quindi particolarmente indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto sociale, familiare, culturale e ambientale, ciò che consente di trarne un indice di istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell’indagata e di ritenere quindi integrata anche la detta circostanza aggravante”.
Il provvedimento che ha convalidato il fermo ed emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ribadisce “l’estrema gravità del fatto, le modalità della condotta, la personalità dell’indagata la quale ha inscenato il finto rapimento con estrema lucidità e che nel corso dell’interrogatorio di garanzia non ha manifestato alcun segno positivo di ravvedimento e pentimento, sono tutti elementi che denotano una particolare spregiudicatezza, insensibilità alle regole del vivere civile, assoluta mancanza di resipiscenza ed intensa volizione criminosa”.
Per il gip questo è indice del “pericolo di reiterazione criminosa di altri fatti violenti”. E c’è anche il rischio di “inquinamento probatorio”: “Tentativi di inquinare sono stati invero già compiuti sin dai momenti successivi l’omicidio, allorquando Martina Patti ha inscenato il falso rapimento, che ha caparbiamente sostenuto con i familiari e gli inquirenti ed essi potrebbero continuare se l’indagata fosse messa in libertà, tenuto conto che le indagini sono ancora in fase iniziale e che devono essere verificati l’orario e il luogo del delitto, gli spostamenti mattutini dell’indagata, attraverso la visione di eventuali telecamere poste nelle vicinanza dell’abitazione”.