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Cannabis e droghe: nasce la Rete delle città antiproibizioniste

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Si chiama “Rete delle città italiane per una politica innovativa sulle droghe”, nasce oggi e ha già una sua “Costituzione”, una Carta di tre pagine che è al tempo stesso una dichiarazione di intenti e un manifesto programmatico. I nodi della Rete sono le amministrazioni locali progressiste delle grandi città, i primi firmatari del manifesto sono gli assessori al Welfare di Milano (Lamberto Nicola, Giorgio Bertolè), Bari (Francesca Bottalico), Bologna (Luca Rizzo Nervo), Torino (Jacopo Rosatelli), Napoli (Luca Trapanese) e la consigliera comunale di Roma Tiziana Biolghini. E al centro del “programma” c’è un approccio anti proibizionista e una visione delle dipendenze come fenomeno sociale,” ampio, diffuso, complesso e radicato”, da governare pù che da reprimere solo con misure securitarie, rimettendo al centro le persone e le loro fragilità, lavorando sulla riduzione del danno, differenziando tra le diverse sostanze e quindi tra le pratiche di risposta, modificando le possibilità di accesso ai servizi sociali per non escludere chi fa uso di droghe, lontano da stigmi e stereotipi.

Il protagonismo delle città

“È un fatto inedito e importante per la realtà italiana: le municipalità e gli amministratori, di fronte all’esigenza di una non più rinviabile riforma della legge e delle politiche sulle droghe, decidono di assumere un ruolo di maggiore responsabilità civile ed istituzionale e di attivare un processo di riorganizzazione delle politiche locali e dei servizi – dice il gruppo Pd della Camera – L’obiettivo è sperimentare modelli di regolazione sociale dei fenomeni del consumo, di mediazione sociale per garantire accessibilità e vivibilità dello spazio urbano per tutti, di politiche centrate sulla promozione della salute e sui diritti”.

Fuori dal cono d’ombra

“Nessuno mette in discussione il contrasto allo spaccio e alla criminalità, che competono alle forze di polizia, ma servono interventi integrati per evitare che chi consuma sostanze entri in un cono d’ombra dove le alternative sono solo o il carcere o l’emarginazione estrema – spiega da Torino l’assessore Rosatelli – Il fenomeno della dipendenza dalle droghe e dal consumo legale e illegale di sostanze è cambiato, si tratta di cambiare pratiche e risposte. E l’approccio centrato sulla risposta penale e repressiva è risultato fin qui fallimentare di fronte a questa complessità”.

Le amministrazioni di prossimità

Ma perché partire dalle città? “Perché siamo noi amministraztori che ci troviamo a gestire la movida serale, i rave, l’inserimento delle persone nelle case popolari, il disagio, la sicurezza urbana, i micro conflitti legati all’uso di sostanze. Siamo amministrazioni di prossimità capaci di distinguere e di agire sui territori, in attesa che una maggioranza parlamentare così composita produca risultati”.

La riduzione del danno

La direzione è quella della “decriminalizzazione e delle alternative alla regolazione penale”. La stessa direzione in cui, secondo i firmatari, si muove il documento conclusivo della Conferenza nazionale sulle droghe e le dipendenze convocata dalla ministra Fabiana Dadone a Genova nel 2021 dopo 12 anni di assenza. “Nel documento conclusivo della Conferenza – si legge sul manifesto – si dice testualmente: ‘Rivedere la legge attuale dal modello della repressione/punizione a un modello di governance e regolazione sociale del fenomeno'”. A partire dalla riduzione del danno, “vista sia come insieme di interventi e servizi (che si integrano a quelli della prevenzione, della cura e del reinserimento e li riorientano al di là della sola logica repressiva e patologica), sia come approccio complessivo, che tende a fare del contesto urbano un contesto capace di decostruire stigmi e pregiudizi, minimizzare e contrastare i rischi e i danni correlati all’uso di droghe, e sicuro sia per chi usa che per la popolazione tutta”. “La Riduzione del danno è stata inserita nei Livelli essenziali di assistenza dal ministero della Salute dal 2017, chiediamo al Sistema sanitario di farsene finalmente carico”, aggiunge Rosatelli.

Dal drug checking alle stanze per il consumo sicuro

Nella pratica, le municipalità e la città metropolitane che si sono messe in rete vogliono ad esempio promuovere protocolli sperimentati a livello europeo come il drug checking (ovvero l’analisi delle sostanze che si stanno per consumare per valutarne i rischi e il dosaggio), le stanze per il consumo sicuro, il Consiglio della notte che si occupi di movida. E ancora: “Bisogna garantire i diritti sociali alle persone che usano droghe circa l’accesso al welfare locale, senza discriminazioni – spiega Rosatelli – La barriera per molti senza fissa dimora per accedere a un alloggio è lo stop al consumo di sostanze, ma l’approccio rigido, oltre che inutile perché nessuno smette dall’oggi al domani, non risolve il problema anzi lo aggrava. La priorità è levare quella persona dalla strada e a quel punto occuparsi del suo benessere”.

Le politiche innovative dal sociale alla movida

Gli amministratori intendono inoltre “sperimentare circuiti alternativi alla detenzione per le persone che usano sostanze, utilizzando i budget di salute e l’housing first“. E “potenziare i servizi sanitari delle dipendenze, altrimenti come facciamo a gestire se non siamo attrezzati chi ad esempio viene ospitato in un dormitorio e poi va in astinenza?”.

Anche sulla movida, dice Rosatelli, va usato un approccio integrato che affronti il fenomeno sociale dalla testa e non dalla coda. “Se vogliamo agganciare i giovani, dobbiamo usare la loro lingua, dirgli di non abusare, di non mischiare le sostanze, di non assumere alcol e droghe insieme, di farlo a casa e in condizioni sicure, di evitare che siano tutti sballati contemporaneamente. L’ideale è arrivare a essere tutti drug free ma chi fa un’esperienza di consumo, magari in età adolescenziale e poi mai più, non ti ascolta se gli si dice solo di non bere nessuna birra o non fumare nessuna canna”.

L’allargamento della Rete

La sfida politica della Rete è quella di allargarsi, “magari anche ad altre esperienze più liberali. sarebbe bello uscire dallo schematismo che la repressione è di destra e la riduzione del danno è di sinistra. Bisogna uscre dallo stigma sociale, come accaduto sulla salute mentale, non per drogarci tutti assieme ma per rendere più forte ed efficace il sistema di servizi alla persona. Se la parola Serd, ad esempio, non evocasse un ‘tossico disperato che ti deruba per andare a comprare la dose ma un servizio di cui usufruire se si cade in una dipendenza allora anche l’accesso al sistema dei servizi sarebbe più semplice da accettare e quindi funzionerebbe di più”.

La legalizzazione della cannabis

In vista dello sbarco in Aula, il 29 giugno, della proposta di legge sulla depenalizzazione della cannabis che ha ottenuto il 21 giugno il sì in Commissione Giustizia e si prepara dunque allo scontro in Parlamento, a confrontarsi, sempre oggi, saranno anche attivisti e consiglieri delle “città antiproibizioniste”. Così si chiama l’evento che si terrà nel pomeriggio al Monk di Roma, nell’ambito dell’iniziativa “Un giorno legale” organizzata dall’associazione Meglio Legale. “È l’inizio di un percorso che vedrà confrontarsi Torino, Milano, Padova, Bologna, Firenze, Napoli, Latina, Roma e Lecce a partire da due esperienze locali: la mozione di Milano che riconosce, in un processo di legalizzazione, un approccio diverso e più efficace rispetto a quello repressivo; e la sperimentazione a Bologna dei cannabis talk“: una serie di incontri pubblici e consiliari per prendere consapevolezza rispetto a quelle che sono le ricadute locali di un impianto nazionale basato sulla repressione con tre focus: la sanità (ovvero l’uso medico della cannabis terapeutica e la riduzione del danno), la giustizia (l’impatto sulle carceri degli arresti per reati minori legati alla cannabis) e l’educazione (momenti consapevolezza per i più giovani)”, spiega Mattia Santori, consigliere bolognese e animatore delle Sardine, da sempre anti proibizionista e reduce, lo scorso anno, dal cannabis tour.

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