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Nati in Italia da famiglie di origini kosovare – inseriti nel contesto sociale, di lavoro e di studio – avevano intrapreso da tempo un percorso di radicalizzazione attraverso la propaganda jihadista sul web e si erano addestrati per compiere atti violenti progettando un attentato con ordigni esplosivi in nome dell’organizzazione terroristica “Stato Islamico” (Is): sono le accuse nei confronti di un uomo e una donna, indagati per associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, arruolamento ed addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale.
Entrambi incensurati, il 15 giugno scorso, sono stati sottoposti a un provvedimento di fermo del pubblico ministero, emesso dalla Procura di Trento eseguito dai carabinieri del Ros, con il supporto del comando provinciale Trento, del Gruppo di intervento speciale (Gis) e del Raggruppamento investigazioni scientifiche.
Il gip del tribunale di Rovereto (Trento), il 18 giugno ha disposto la misura della custodia cautelare agli arresti domiciliari, con obbligo di braccialetto elettronico, nei confronti del solo uomo. La decisione sull’applicazione della misura cautelare, spiegano i carabinieri, è stata determinata dalla necessità per l’autorità giudiziaria, di garantire un percorso di deradicalizzazione dell’indagato, nel quale avrà un ruolo fondamentale la famiglia di origine, perfettamente integrata nel tessuto sociale italiano.
Secondo la ricostruzione degli investigatori i due indagati , dopo aver commesso l’attentato i Italia, si sarebbero dovuti recare in Africa per unirsi all’organizzazione terroristica “Stato Islamico”.
Nel corso dell’operazione, sono state eseguite alcune perquisizioni che hanno consentito di sequestrare materiale informatico e prodotti chimici – precursori per la fabbricazione di ordigni esplosivi – consegnati al Raggruppamento investigazioni scientifiche per gli accertamenti tecnici.