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ROMA – L’appuntamento è all’alba. Ci vediamo da Mario, e non è il verso di una canzone, ma un bar sulla Portuense. La prudenza, nei contatti telefonici, mi suona quasi eccessiva: il mio interlocutore si scalda quando ripeto le coordinate, che per lui sono “informazioni sensibili”. Sulle prime temo non sia chiaro lo spirito della mia partecipazione all’impresa – di narratore al seguito – e mi arriva un messaggio su WhatsApp, in un italiano un po’ pericolante: “Vorremmo conoscerti e rimandare un altro tipo di collaborazione più avanti”, perché è bene che chi partecipa “abbia seguito una formazione per garantire la giusta disciplina”.
“Restiamo concentrati sull’azione”
Per intanto, chiarito l’equivoco, basta la massima puntualità. Al bar l’incontro è fugace, il rappresentante di “Ultima Generazione” che viene incontro a me e al videomaker ci invita a spostarci in macchina più avanti. Parcheggiamo nei pressi di un vasto campo di sterpaglie – una rete tagliata consente il passaggio in due punti; il secondo è quello da cui si accede al ciglio del Grande raccordo anulare, tra Pisana e Magliana. Non viene apprezzato il tempismo con cui, durante la traversata fra i rovi, chiedo agli attivisti – a questo punto sono in cinque, la maggioranza molto giovani – di raccontarmi qualcosa di loro. “Sarà meglio dopo, adesso dobbiamo concentrarci sull’azione”.
In piedi sul tetto del taxi, il Raccordo è bloccato
Al telefono una ragazza passa indicazioni a qualcuno, le indicazioni sono un po’ cifrate, poi si accorge di un grosso cactus e lo segnala. Con un balzo il gruppo si ritrova sulla carreggiata, in quel momento sgombra. Viene srotolato in fretta uno striscione (“No gas no carbone”), ma il primo automobilista lo ignora, e – come fosse una mantellina – da torero lo supera. La donna alla guida della seconda auto si ferma docilmente, fuma e sbuffa; e lo fa anche un tassista, ma solo perché il più intemperante fra gli attivisti gli si getta sul cofano e, risalendo il parabrezza, si ritrova in piedi sul tetto della macchina. I toni naturalmente si accendono, con improperi qui non riferibili: alla bestemmia del tassista, l’attivista risponde con i dati sui duecento Comuni italiani in cui scarseggiano le risorse idriche. L’effetto è surreale. “Domani sarai costretto a capire quello che stiamo facendo”, insiste il ragazzo, mentre l’ingorgo è ormai consistente.
La trattativa con gli automobilisti
Altri automobilisti avanzano a piedi e provano a trattare: “Lasciate almeno una corsia libera, almeno una!”. Di là dal guardrail, in direzione opposta, un camionista rallenta giusto il tempo per urlare: “Mortacci vostra, andate sotto Montecitorio!”. C’è chi deve dare il cambio a un collega, chi deve raggiungere “una persona disabile”, chi fra presente che deve consegnare merce (“E se nun la consegno voi nun magnate”), chi prova a forzare il blocco strappando di mano lo striscione agli attivisti e spintonando, ma il gruppo si ricompone, incrementato di qualche unità (tre giovanissimi, come si fossero svegliati tardi, sbucano su strada correndo).
Un vigile del fuoco passa in moto
Mancano venti minuti alle otto. La fila è consistente, c’è anche un autobus. A Roma è un giorno festivo, ma le voci, che diventano una ridda di rimostranze, a metà fra stizza e sarcasmo, raccontano di impegni di lavoro, urgenze personali. Il cambio a un collega. La chemio. “Fateme passaaaaaaa’”. Un vigile del fuoco riesce a passare in moto (“Se non ve levate, oggi brucia tutta Roma”); un addetto Anas prova a intavolare di nuovo una trattativa: “Me vedi? So’ sempre io, ero io pure l’altro giorno”, dice a un ragazzo che ha riconosciuto. “Non è questo il modo giusto”, dice con un tono di padre severo. Il modo giusto – reagisce una ragazza – “sarebbe fare questo in migliaia di persone”.
“Il governo deve ascoltarci”
E concentrata, serissima, torna sul punto: il clima stravolto, i ghiacciai, una situazione che non lascerà scampo. La sua amica assicura che i blocchi del Gra non finiranno fin quando “il governo non ascolterà le nostre istanze”. Stop immediato alla riapertura delle centrali a carbone. Sblocco e deburocratizzazione di 20 gigawatt di fonti rinnovabili. Le idee sono molto chiare; e vengono espresse – a parole – con una durezza legittima e tuttavia perturbante. Plumbea. Nei gesti, con uno spirito di disobbedienza civile che cerca di fare proseliti e forse ottiene il contrario: lo sconcerto e l’ostilità di chi può condividere la sostanza ma non la forma. È la versione estremista dei “Fridays for Future”, il lato ruvido del collettivo ambientalista planetario (“Ultima Generazione” si definisce costola del movimento “Extinction Rebellion”), nonviolento ma comunque di lotta.
La prova generale di qualcosa di peggio
Prima dell’arrivo delle volanti, il confronto tra questi cittadini sull’asfalto del Gra, sotto il sole appena velato di un mattino afoso, mette in gioco massimi e minimi sistemi, istanze ideali e necessità reali, la sopravvivenza nel futuro e le urgenze del presente, di ogni santa mattina nel traffico. È un cortocircuito, una dialettica tesa, impazzita, fra visioni del mondo, fra generazioni (“Non farmi ‘ste morali de merda!”). E soprattutto fra Non Rappresentati – persone, con storie e idee e necessità diverse, che tali si sentono. E che hanno, comunque, un malessere da urlare. I poliziotti trascinano via i ragazzi e le ragazze praticamente a peso morto. Per una lunghissima mezzora quel tratto del Gra è deserto, irreale, l’afa sale e resta l’impressione di avere assistito alla prova generale di qualcosa, di qualcosa di peggio.