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Carlo ha avvertito i primi sintomi di un disturbo psicotico durante gli anni del liceo. Seppur con fatica, è riuscito a diplomarsi, ma non ha proseguito gli studi né ha mai lavorato. La sua vita sociale era ristretta ai servizi di cura, i medici non lo reputavano nelle condizioni di sostenere un impegno lavorativo, ma, poco più che ventenne, è riuscito ad iniziare un percorso di autonomia abitativa e, successivamente, un tirocinio. Grazie alla sua passione per l’informatica, oggi, ha un contratto a tempo indeterminato nel campo della gestione dati presso un istituto ospedaliero privato.
Marina, dopo aver conseguito la laurea in economia, ha ricevuto la diagnosi di schizofrenia con allucinazioni uditive. Le voci erano così insistenti che ha iniziato ad assumere sostanze stupefacenti per provare a metterle a tacere, a tal punto da finire in coma per overdose. Il recupero è stato lento e faticoso, ma è riuscita a riacquisire ogni conoscenza e oggi, quarantenne, è assistente di direzione in una grande azienda.
Daniele, da sempre timido e introverso, faticava a trovare la sua strada finché è stato assunto come tecnico informatico in una multinazionale. Quella che sembrava la realizzazione di un sogno, anni dopo, si è rivelata l’origine del suo malessere: l’avvento della crisi ha portato al taglio dei posti e all’aumento del carico di lavoro. In preda allo stress è crollato in una profonda depressione che l’ha costretto a letto, per quasi 2 anni, in una sorta di morte apparente. Non è stato facile rialzarsi, ma oggi ha 45 anni ed è fiero del suo impiego nell’amministrazione di un’azienda.
Un modello replicabile su scala nazionale
A rendere possibile l’inserimento sociale e lavorativo di queste persone affette da disturbi psichici – finora circa 100 – è il progetto Job Stations promosso, insieme a Fondazione Italiana Accenture, dall’associazione Progetto Itaca, attiva da 20 anni nella prevenzione, assistenza e riabilitazione nell’ambito della salute mentale.
Partiti in sordina come progetto pilota a Milano, i centri di smartworking assistiti per l’inclusione lavorativa di pazienti psichiatrici, ben presto, si sono rivelati un modello replicabile sull’intero territorio nazionale, tanto che, al momento, sono operative 7 Job Station in 6 città italiane, in continuo aumento soprattutto a seguito della pandemia.
“Siamo stati i pionieri dello smartworking per assicurare spazi confortevoli e protetti, in cui i nostri lavoratori possono esprimere il proprio potenziale. Durante il lockdown, il nostro modello ha reso meno traumatico l’impatto con il lavoro da casa per i Job Stationer che si occupano prevalentemente di archiviazione digitale e manutenzione di database e, tuttora, applicano una modalità di lavoro ibrido” spiega Francesco Baglioni, direttore di Progetto Itaca Milano, fiero delle decine di aziende che hanno aderito alla rete per trasformare un limite in un’opportunità di inclusione sociale, adempiendo all’obbligo di assunzione di lavoratori con disabilità, regolato dalla legge 68/99.
Ancora troppi preconcetti
“Ancora, però, persiste lo stigma culturale – sottolinea – alcune aziende manifestano timore o eccessiva prudenza e, dunque, scarsa disponibilità ad assumere persone con disagi psichici, erroneamente reputate con minori capacità intellettive”.
In realtà, i Job Stationer, affiancati da tutor psicologici e supervisor aziendali, riescono a diventare parte integrante del team di lavoro, prontamente formato a rapportarsi con loro, nonché funzionali alla crescita aziendale.
“Iniziano il percorso con uno stage, a cui, se vengono confermate competenze e tenuta psicologica-emotiva, fa seguito un contratto a tempo determinato che, nel 90% dei casi, diventa indeterminato. Il lavoro si rivela uno strumento terapeutico che trasforma soggetti dipendenti dalla famiglia e dai servizi sociosanitari in contribuenti autonomi e determinati” afferma Baglioni all’unisono con Ivan Rotunno, coordinatore della Job Station di Milano, mentre confidano la speranza di proseguire questa sfida culturale e professionale con più aziende possibili, in tante altre città, per rendere sempre meno invisibile la disabilità psichica.