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La Lega ammaccata dai risultati elettorali riparte da Salvini. “La leadership di Matteo non è in discussione“, dice Giancarlo Giorgetti, avversario interno più potenziale che reale, di certo oggi attento a non infrangere la disciplina di partito. Pronto a confermare la fiducia nel segretario e a consegnare a lui anche la scelta sul sostegno a Draghi: “Vuole sapere se il governo è a rischio? Qui – risponde il ministro dello Sviluppo economico – ci sono i due capigruppo, io faccio parte del governo ma sono loro che decidono se io resto. Lo decidono loro, non io. Come dice la Costituzione della Repubblica italiana, è il Parlamento che dà la fiducia al governo, non è il governo che dà la fiducia a se stesso”. Ancora più chiara Erika Stefani, che nell’esecutivo Draghi si occupa di disabilità: “Il mandato dei ministri della Lega è in mano a Salvini, non ad altri”.
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di
Andrea Montanari
Il ricompattamento
Alla fine il senso del vertice milanese, convocato proprio all’indomani del secondo turno delle amministrative che hanno avuto un esito infausto per la Lega, è quello di un ricompattamento del partito su una linea critica, se non ostile, nei confronti dell’esecutivo. Salvini offre una tregua ai colonnelli: concede una maggiore condivisione della gestione politica ma chiede anche di metterci la faccia. E infatti la comunicazione dei risultati della riunione fra i dirigenti non è affidata stavolta a Salvini ma ai dirigenti medesimi: fuori dalla sede di via Bellerio, davanti ai giornalisti, spuntano Giorgetti, i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, l’eurodeputato Marco Zanni. Un’immagine di ostentata unità, anche se al summit mancano due pezzi grossi dell’ala istituzionale quali i governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Entrambi assenti giustificati: il veneto è alle prese con la tragedia della Marmolada, il friulano è in missione istituzionale negli States.
Alzare la voce col governo
Di certo, la Lega ha deciso che l’unico modo di riprendere consenso è quello di strigliare Draghi, di alzare la voce nei confronti del governo. Salvini indica la priorità già in mattinata, nel corso di un incontro al Pirellone con i consiglieri regionali e con il governatore lombardo Attilio Fontana: “Aumento di stipendi e pensioni, lavoro e taglio delle tasse. Sono queste le emergenze, assieme all’autonomia e all’immigrazione clandestina. Se la sinistra insiste con droga libera, cittadinanza facile e ddl Zan – l’avvertimento del leader – faremo vedere di che pasta è fatta la Lega”. Preavviso di un’uscita dalla maggioranza? In realtà, Salvini (e Giorgetti) confermano la linea della “responsabilità”: questi obiettivi si possono ottenere restando nella coalizione di unità nazionale. Ma è una convinzione espressa con sempre minor forza, durante una riunione in cui – si apprende da fonti vicine al segretario – è emerso come tema di dibattito lo scetticismo di “gran parte del partito” nei confronti del governo Draghi. La strategia, per ora, è quella di sottolineare le forzature del centrosinistra: se la Lega dovesse rompere, insomma, sarebbe per le provocazioni altrui. “La Lega ha ribadito che se si mettono in campo temi divisivi, così come era stato con il ddl Zan, indubbiamente questo va a minare la tenuta del governo”, dice Romeo. Ma il Carroccio sosterrà il premier almeno fino al termine dell’estate, quando è già stata fissata la data per un “tagliando” al governo. Non a fine luglio al Papetee, dunque, ma il 18 settembre a Pontida.
L’asse con Berlusconi
Nel frattempo, almeno sui temi, si rinsalda l’asse con Berlusconi. Il Cavaliere riunisce lo stato maggiore di Forza Italia a Villa Certosa, in Sardegna, e alla fine fa sapere che “prove di forza come la proposta inaccettabile sulla coltivazione domestica e l’uso della cannabis, impuntature come quella sul cosiddetto Ius Scholae creano instabilità e confusione”. Berlusconi, con riferimento alle tensioni dentro i 5Stelle, si dice “fortemente preoccupato per le fibrillazioni che vengono scaricate sul governo, in un momento nel quale sono invece necessarie stabilità e dialogo”. Unico distinguo: Fi non seguirà la Lega in caso di strappo. Non è poco, ma chissà se ciò rassicurerà Mario.