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Accompagnano le persone nell’esperienza della verticalità, a volte veri e propri riti iniziatici per chi muove i primi passi nell’alpinismo. Immergono i clienti nel fascino dei ghiacci dell’alta montagna o “solo” lungo una via ferrata. Per le guide alpine la montagna non è solo passione: è anche un lavoro. Non esente da rischi, perché a volte non basta l’esperienza – e loro ne hanno tanta – per domare tutti i pericoli. Domenica scorsa, nella tragedia della Marmolada, anche le guide hanno pagato un tributo con la scomparsa di Paolo Dani. Trentino, 52 anni, Martino Peterlongo, è il presidente nazionale del Collegio delle guide. Secondo Peterlongo, l’evento che ha sconvolto il profilo della Regina delle Dolomiti rientra tra quelli “imprevedibili”, ma è convinto che il dramma debba far cambiare la cultura dell’avvicinamento alla montagna, un percorso che i professionisti hanno già avviato da tempo. Un bollettino dei rischi? Per il presidente delle guide una strada non percorribile, mentre le chiusure devono essere l’extrema ratio in caso di pericolo palese.
Peterlongo, il dramma del 3 luglio sulla Marmolada segna un confine nell’approccio alla montagna, ciò che l’esperienza ha insegnato in decenni di alpinismo non vale più?
“Sono d’accordo, al netto dell’elasticità che comunque richiede la frequentazione dell’ambiente montano. Ovvio, l’affermazione è parzialmente vera se parliamo di roccia. Se prendiamo le guide storiche che recensiscono gli itinerari classici, penso a testi come Buscaini e Vallot, alcune vie in alta quota non sono più riconoscibili, le descrizioni riportate non trovano corrispondenza nella realtà”.
Questo cosa ci dice?
“Che la morfologia della montagna è profondamente cambiata negli ultimi anni: seracchi sporgenti che sono spariti, isole di roccia in mezzo al ghiaccio che ora sono vere e proprie pareti. Per fare alcuni esempi: lo scivolo di neve convesso della nord della Presanella è ormai un ricordo, lo Sperone Frendo sull’Aiguille du Midi è isolato in un mare di roccia e non è percorribile, mentre un tempo giugno era il mese migliore”.
Cambiamenti che non sono avvenuti in poco tempo, evidentemente.
“Ci sono certe salite che io non faccio più da dieci anni in estate. Le guide alpine non hanno scoperto ora la trasformazione della montagna provocata dai cambiamenti climatici”.
I morti sulla Marmolada hanno aperto un dibattito non solo sulla necessità di frenare il riscaldamento globale, ma anche sull’opportunità di prevenire gli accessi all’alta montagna in caso di pericolo. Magari con dei “bollettini”, come si fa con le valanghe.
“Non ritengo questa soluzione inutile, quanto impraticabile. I bollettini valanghe sono valutazioni di carattere generale elaborate con modelli matematici che utilizzano dati diffusi da moltissime stazioni di rilevamento sparse sui territori. Aggiungo: la valutazione del rischio in un determinato punto, resta allo scialpinista. Come si raccolgono i dati sui rischi su un ghiacciaio o comunque in alta quota? Come li elaborano? Mi pare difficile…”
Le chiusure preventive?
“Le vedo solo come extrema ratio, quando c’è un pericolo evidente: succede, talvolta, a Chamonix. Ma non dimentichiamo che l’alpinismo è basato sull’autoresponsabilità e sulla capacità autonoma di valutazione. Se togliamo questo, resta solo la risposta repressiva, che non mi auguro. Il tema centrale, però, a mio avviso è un altro”.
Quale?
“L’imprevedibilità: oggi le condizioni in quota cambiano molto velocemente, con il rischio che una valutazione fatta ora tra pochissimi giorni non valga più. A me, ad esempio, è successo a novembre sul Cervino: volevo fare la via Schmidt, sembrava ci fossero le condizioni perfette, ma pochi giorni dopo c’era la metà del ghiaccio. Una volta non c’erano cambiamenti così repentini. Anni fa i rigeli notturni e le precipitazioni invernali erano una certezza: non è più così, a volte troviamo i crepacci sui ghiacciai già a primavera. In questo senso l’esperienza dell’alta quota è tutta da ricostruire”.
Detto così, pare una strada senza uscita.
“Non dobbiamo fermare la frequentazione della montagna, ma cambiare i modelli di conoscenza e valutazione: oggi, rispetto alle condizioni della montagna che vogliamo affrontare, servono più informazioni puntuali rispetto a un tempo. Certo, non le dobbiamo prendere dai social”.
La tragedia della Marmolada cosa ci rappresenta?
“Un evento imprevedibile. Lì non c’era un seracco incombente, qualcuno se ne sarebbe accorto: si è proprio staccato un pezzo di calotta. Chi è stato travolto stava percorrendo una via ritenuta a ‘basso rischio’ e tra le più facili per chi ha un normale allenamento. Se fosse successo di notte, l’avremmo archiviata come una brutta frana”.