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Il depistaggio della strage Borsellino, la prescrizione salva due poliziotti. Un altro è stato assolto

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Trent’anni dopo, nessuno pagherà per quello che è stato definito il “più colossale depistaggio della storia d’Italia”. E’ scattata la prescrizione per due poliziotti accusati di aver costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino: l’ex dirigente di polizia Mario Bò, il capo del gruppo d’indagine sulle bombe del 1992, e l’ex ispettore Fabrizio Mattei. L’ex ispettore Michele Ribaudo è stato invece assolto perché il fatto non costituisce reato: la procura di Caltanissetta aveva chiesto condanne esemplari, 11 anni e 10 mesi per il dirigente, 9 anni e 6 mesi per i suoi collaboratori. L’accusa contestata era quella di calunnia, con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione mafiosa e gli autori delle stragi. Ma il tribunale di Caltanissetta ha ritenuto che ci non siano tutte le prove necessarie per sostenere l’aggravante di mafia. Ed è scattata la prescrizione, ovvero come dice il codice penale è passato troppo tempo per contestare il reato di calunnia “semplice” agli imputati.

Una vera e propria beffa, considerate le battaglie per la verità e la giustizia fatte dalla famiglia Borsellino, sin dal giorno dopo la strage. La signora Agnese, la vedova del giudice Paolo, fu la prima a chiedere a gran voce dove fosse finita l’agenda rossa del marito. Parole che i figli non hanno mai smesso di rilanciare. Proprio nei giorni scorsi Fiammetta Borsellino aveva detto: «Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro». E ancora: «Dopo trent’anni di depistaggi e di tradimenti noi non ci rassegniamo e continueremo a batterci perché sia fatta verità sull’uccisione di nostro padre».

Ora, la caduta dell’aggravante mafiosa sembra voler dire che per il tribunale i poliziotti non agirono per favorire la mafia, ma solo perché volevano una verità a tutti i costi. E’ l’altra tesi che da sempre è aleggiata nel processo quando si è parlato dell’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, ritenuto il principale regista dell’operazione Scarantino, ma lui non è fra gli imputati del processo, perché è stato stroncato da un tumore nel 2002. Pesanti le parole pronunciate dal pubblico ministero Stefano Luciani durante la requisitoria: «Scarantino subì un pressing asfissiante da parte dei poliziotti: il 24 giugno 1994, quando disse di volere parlare della strage, era un uomo disperato, sfiancato da interrogatori, da plurimi procedimenti penali, da condanne per droga».

Per la procura, i poliziotti avrebbero fatto anche dell’altro. E’ stata la moglie del balordo della Guadagna a svelare le “torture” subite nel carcere di Pianosa. «Rosalia Basile l’aveva già detto nei mesi in cui tutto questo accadeva, mandando lettere al presidente della Repubblica, al presentatore Funari, alla signora Borsellino, che certo non poteva immaginare cosa stesse accadendo». Sono drammatiche le dichiarazioni fatta dalla moglie di Scarantino, queste: «La prima volta che lo andai a trovare a Pianosa, mi disse che lo torturavano, fisicamente e psicologicamente. Arnaldo La Barbera e altri poliziotti. Gli dicevano che lo avrebbero impiccato e che avrebbe fatto la stessa fine di Gioè. Un giorno, gli sussurrarono che aveva l’Aids». Ma è il reato è prescritto, e nessuno pagherà. Nessuno sarà colpevole.

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