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C’è una novità nel decreto sul Green Pass per il lavoro pubblico e privato su cui il governo ha posto la fiducia passata alla Camera con 453 sì. Il provvedimento, già approvato al Senato dove la nuova norma è stata inserita, doveva essere convertito in legge entro il 20 novembre. E stasera probabilmente arriverà il via libera definitivo dopo l’esame degli ordini del giorno. Nonostante i rilievi del Garante per la privacy.
Nei capitoli dedicati alle “disposizioni urgenti sull’impiego di certificazioni verdi Covid-19 in ambito lavorativo pubblico e privato” si legge ora che “al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde Covid-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”.
In sostanza, fino alla scadenza del Green Pass, di 48 o 72 ore nel caso dei tamponi, di 9 o 12 mesi in caso di vaccinazione o guarigione dal Covid, niente più obbligo di sottoporsi a controlli quotidiani se si lascia la certificazione in mano al datore di lavoro.
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La norma però non è piaciuta al Garante per la privacy che l’11 novembre ha scritto una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza, al presidente della Camera Roberto Fico e al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà.
Il presidente dell’Authority Pasquale Stanzione ha mosso due rilievi principali. Anzitutto: l’esenzione dai controlli, secondo il Garante, rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica del Green Pass. Poiché, sottolinea Stanzione, “esso è efficace a fini epidemiologici nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità”. L’assenza di verifiche durante tutto il periodo di validità del certificato non consentirebbe invece, per Stazione, di rilevare se un lavoratore si è contagiato nel frattempo e dunque se il suo Pass sia stato temporaneamente sospeso.
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In secondo luogo, la conservazione delle certificazioni verdi contrasta con il Regolamento Ue 2021/953 che dispone che i dati personali non devono essere conservati. Un divieto funzionale a garantire la riservatezza non solo dei dati clinici (in relazione alle certificazioni da avvenuta guarigione), ma anche delle scelte personali compiute rispetto al vaccino.
Dalla scadenza del certificato, infatti, si può risalire al presupposto per il quale è stato rilasciato. Un elemento aggravato, per Stanzione, dal contesto lavorativo. Il fatto che un datore di lavoro conosca la situazione del proprio lavoratore “pare poco compatibile con le garanzie sancite sia dalla disciplina di protezione dati, sia dalla normativa giuslavoristica”. Inoltre, scrive Stanzione, “la conservazione dei certificati imporrebbe l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, con un non trascurabile incremento degli oneri (anche per la finanza pubblica, relativamente al settore pubblico)”.
Il Parlamento ha però deciso per il momento di tirare dritto. Interventi correttivi potranno essere eventualmente inseriti solo in prossimi provvedimenti legislativi.
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Tra le altre precisazioni nel testo definitivo, il chiarimento per cui il dipendente, nel caso dovesse scadere il certificato nel corso della giornata lavorativa, potrà rimanere al proprio posto fino alla fine del proprio impegno quotidiano. E ancora l’equiparazione delle attività teatrali in ambito scolastico alle attività didattiche: obbligo di Pass per gli insegnanti ma non per gli alunni.