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Domenica primo agosto 1993, a Clusone, Bergamo, il sole sorge alle 6 e tre minuti. L’orologio Fanzago, posto sulla facciata della torre del comune, muto testimone delle ultime ore di vita di Laura Bigoni, l’aveva calcolato con una precisione che oggi sembra meno sbalorditiva di quando fu costruito, nel 1583. All’epoca, l’orologio di Clusone non era solo un gioiello di tecnologia, ma anche un gesto di esultanza prometeica: “Fanzago dimostra con l’ingegno e la manualità che le stelle, solo in minima parte, sono mosse da ragioni a noi oscure”, così recita la scritta sotto di esso.
Per millenni il moto delle stelle era stato un enigma, le eclissi erano sinistri presagi e il girovagare delle costellazioni partoriva leggende, miti, religioni. Ma, afferma con orgoglio l’orologio Fanzago, oggi possiamo calcolare gli equinozi e i solstizi, le lunazioni, la durata delle notti, perciò, se mistero esiste, lo è “solo in minima parte”. Chiamiamo questa “minima parte”: tempo. Possiamo misurarlo e tracciarlo, ma qualcosa, al suo interno, è sempre fuori fuoco.
Come per la morte di Laura Bigoni. Le sue ultime ore sono state catturate da una time-line estremamente precisa eppure il suo assassino resta un’incognita. L’unica certezza è che la ventitreenne che sognava di aprire un centro estetico ha smesso di vivere alle cinque del mattino del primo agosto 1993: coltellate multiple. Non solo. Chi l’ha assassinata ne ha profanato il cadavere con il fuoco. Dopodiché si è lavato ed è fuggito portandosi via il copriletto, l’arma del delitto, cioè un coltello da cucina, e i jeans di Laura. I primi due non sono mai stati trovati. I jeans sì, nel cortile del condominio: bruciati.
Li trovano gli inquirenti, nelle primissime fasi dell’indagine. Due sono i compiti delle forze dell’ordine in quei momenti, ed entrambi hanno a che fare col tempo. Il primo è la cristallizzazione: fissare lo scorrere del tempo al momento in cui il primo agente è giunto sulla scena per permettere a pm, periti e giudici di vedere con i propri occhi, in futuro, quel presente così raccapricciante.
Il secondo compito si chiama: cronologia. Ogni azione della vittima, dei testimoni e dei sospetti, va ricostruita minuto per minuto. Lo scopo è presto detto: disegnare, attraverso la successione degli eventi, il volto del colpevole. E la cronologia del delitto di Clusone tratteggia, da subito, il più classico dei triangoli. Laura ha una relazione con un ragazzo, Jimmy. Jimmy fa l’elettricista e spera, un giorno, di entrare nei vigili del fuoco. È aitante, bello, ma nei confronti di Laura è geloso, possessivo. La gelosia di Jimmy è una forma di infantile excusatio non petita visto che è lui a tradirla con Vanna. Il triangolo si chiude con Laura che, pochi giorni prima della morte, scopre la tresca. Per questo si trova a Clusone, in un appartamento di proprietà degli zii, deve prendersi una pausa per schiarirsi le idee. Naturalmente Jimmy non ci mette molto a raggiungerla. Parlano, e la convince a passare la serata in discoteca ma, ci avverte la cronologia, alle 19 di sabato 31 luglio Jimmy riceve una telefonata. Un’urgenza. L’urgenza, si scoprirà in seguito, ha un nome: Vanna. È da lei che Jimmy corre, e sarà proprio Vanna l’alibi che permetterà all’aspirante pompiere di scagionarsi.
Secondo gli inquirenti, inoltre, è per questo che Laura, quella sera, va in discoteca. Vuole, dicono, rendergli pan per focaccia. In discoteca Laura incontra Marco il quale, per i poliziotti che faranno irruzione nell’appartamento della ragazza assassinata, è un nome e un numero di telefono su un biglietto appoggiato sul comodino: facile trovarlo e ancora di più farsi raccontare la sua versione. Marco e Laura si sono piaciuti, si sono appartati in pineta, infine, attorno alle due, lei lo ha invitato a casa per proseguire la serata. Solo che, racconta Marco, la finestra dell’appartamento della ragazza era illuminata. Forse gli zii, che dell’alloggio sono proprietari e che magari sono in pensiero per lei, spiega Laura chiedendogli di pazientare qualche minuto e poi di suonare. Dovesse aprire, tutto okay, non dovesse farlo: ho il tuo numero, giusto?
Marco aspetta, suona, nessuno risponde e torna a casa. Alle cinque del mattino Laura viene uccisa. Un’ora dopo l’orologio Fanzago saluta l’alba poi, nel giro di poco, gli inquirenti cristallizzano la scena del delitto e iniziano a stilare la cronologia. Alle 2 e 30 un anziano vicino si alza e va in bagno. Non nota niente di strano. Alle 2 e 50 un’inquilina beve una camomilla di fronte alla finestra, vede Clusone, che è bella anche di notte, ma nulla che abbia a che fare con il delitto. Alle 3 e 30 un barista racconta di una ragazza bionda davanti al suo locale. Alla stessa ora un altro testimone afferma di aver visto un taxi davanti alla porta del condominio di Laura. Taxi e bionda non verranno mai trovati. Alle 4, un uomo fa un giro con il cane: niente. Alle 5, ora del decesso, un’anziana si sveglia e inizia a fare le pulizie di casa. Dice di aver sentito un vago odore di bruciato, ma di non averci fatto caso. Le sue parole tornano, ma non aggiungono nulla di nuovo. Alle 5 e 30, un anziano fuma la prima sigaretta della giornata: niente da segnalare. L’unico ad aver notato qualcosa di strano è stato Marco che racconta di aver visto, mentre attendeva Laura, un’ombra maschile “che mi guardava, minacciosa”. È difficile immaginare un’ombra con un’espressione, ma Marco è sufficientemente convincente da uscire dalla lista dei sospettati. La cronologia macina dati su dati, ma ormai il triangolo è diventato uno scarabocchio e l’assassino di Laura lo specchio di quel “solo in minima parte” paventato dall’orologio di Clusone: un mistero.
Un mistero la cui chiave è forse, la frase che gli inquirenti raccolgono a inizio indagine e che finirà su tutti i giornali dell’epoca: “Casa di Laura era un viavai di ragazzi”. Bastano poche parole per far deragliare un’inchiesta. O, peggio, per trasformare Laura in un bersaglio. “Casa di Laura era un viavai di ragazzi” non è, forse, un modo per trasformare una ragazza giovane, bella e piena di vita, in un oggetto di cui disporre a piacimento pena l’annientamento? Da parte di chi? Uno stalker? Un insospettabile vicino? Uno spasimante respinto? Impossibile saperlo.
Però, mentre l’orologio Fanzago segna ventinove anni dalla morte di Laura, una cosa è certa. Bruciare i jeans della vittima subito dopo il delitto e a così poca distanza dal suo cadavere, è stato il gesto irrazionale di un omicida altrimenti freddo e scrupoloso. Perciò, prima di essere inghiottito dall’anonimato, l’assassino ha avuto un momento di panico. E come l’orologio Fanzago ci insegna: certi istanti possono essere eterni. Il primo bacio. La prima canzone che ci ha fatto ballare. Il primo lutto. Oppure l’attimo in cui il sangue sulle mani ha gridato: cosa hai fatto?