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A passeggio per il centro cittadino. Assieme, con il compagno al quale si era riavvicinata da un mese e mezzo, alla festa del paese. La domanda di molti era sorta spontanea: “Le abbiamo chiesto dove fosse la bambina, diceva a tutti che era al mare con sua sorella”. A Leffe, in Val Gandino nella Bergamasca, sono in tanti a ricordarsi di Alessia Pifferi per le strade della cittadina della comunità montana della Val Seriana piene di eventi e mercatini, da giovedì a domenica scorsa, mentre la figlia Diana, 18 mesi, era a casa, da sola, abbandonata. “Da non crederci, lei era in giro tranquilla, a braccetto del compagno Mario, che vive qui da sempre”, dicono al bar del centro cittadino dove in questi giorni c’è sempre qualcuno che commenta quanto accaduto.
“La bambina è al mare con mia sorella” è solo una delle tante bugie che Alessia Pifferi ha raccontato nel tempo. Qui in paese ricordano di quando lei avesse detto che la mamma era mancata a causa del Covid (la madre Maria è viva, ndr) e lei si stava preparando ad andare giù in Calabria al suo funerale. “La vedevamo passeggiare ogni tanto, a volte con la bambina, a volte senza”, racconta la gente di Leffe, che conosce meglio Mario, elettricista del posto, separato, che da un anno e mezzo aveva allacciato una relazione con lei. Che si era interrotta, per sua volontà, a Natale, e poi, ultimamente, era di nuovo ripartita. “Lo considerava il suo papà” ha messo a verbale Pifferi, 36 anni, in carcere per omicidio volontario della figlia Diana morta presumibilmente di stenti dopo sei giorni in casa da sola a Milano. A Ponte Lambro, in via Parea, sul cancello della casa dove madre e figlia vivevano al primo piano, e dove la piccola mercoledì mattina è stata ritrovata senza vita, qualcuno ha messo dei peluche, li ha legati alle inferriate. In ricordo di Diana, il suo nome è scritto sul cancello, in sua memoria.
A qualche metro di distanza c’è la parrocchia del Sacro cuore, la chiesa di quartiere. “Di fronte a questi fatti è difficile trovare delle ragioni, sono talmente allucinanti, non ci sono delle cause sociali – commenta don Alberto Bruzzolo, parroco qui da sette anni – noi seguiamo tante persone ma lei non l’avevamo mai incontrata”. La parrocchia di periferia ha un centro di ascolto che presta servizio a decine e decine di persone, “ci sono cinquantenni che hanno perso il lavoro e non trovano più occupazione, anziani che hanno bisogno di una richiesta in Comune e non sanno usare il computer, persone che hanno problemi di droga, famiglie arrivate da poco, soprattutto sudamericani e che vogliono inserirsi. Ma c’è una fetta di persone che sfugge ai nostri radar, è difficile avere controllo su tutto”.
Don Alberto Bruzzolo ora fatica a trovare le parole: “Fatti come questi sono talmente fuori da ogni logica, come si spiega l’inspiegabile? Mi sento imbarazzato anche solo a parlarne, il male a volte è inspiegabile, non ha senso”. Ma com’è possibile che nessuno si sia accorto di nulla, che nessun altro a Ponte Lambro sapesse? Una bambina di pochi mesi veniva spesso lasciata a casa da sola, era quasi una prassi. “Anche in un quartiere di periferia come il nostro dove ci si conosce tutti resta sempre come in ogni città un margine di anonimato: se uno vuole nascondersi può farlo e non c’è rete che tenga”.