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Afasia: che cos’è, da cosa dipende e cosa fare

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L’afasia è un disturbo che manda in tilt i centri di comando del linguaggio. A scatenarla può essere un trauma, o una malattia nascosta. Ecco come si può “rieducare” la parola

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Bruce Willis ha l’afasia “che sta influenzando le sue capacità cognitive” e quindi, per il momento, “si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui”. Sono le parole della moglie Emma Heming lanciate sui social e destinate a tutti i fan del celebre attore. Un dramma nel dramma, perché l’afasia è una condizione che, destino vuole, colpisce proprio la capacità di comprensione delle parole, ma anche quella di esprimersi, di articolare in modo chiaro le frasi, di leggere e quindi di recitare.

L’afasia è un problema che colpisce oltre 150mila persone nel nostro Paese, con 20mila nuovi casi all’anno. «Di solito l’afasia è conseguente a una patologia che sta a monte. Per esempio un ictus, un trauma cranico o una malattia neurodegenerativa come l’Alzheimer, e ne può essere uno dei segni iniziali», spiega il professor Luigi Ferini Strambi, neurologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dove esiste un Centro di neuroriabilitazione segnalato dall’Aita, la Federazione delle Associazioni italiane afasici.

«L’afasia colpisce le aree cerebrali che governano il linguaggio, ecco il perché delle difficoltà nell’esprimersi in modo intelleggibile per gli altri. In ogni caso, quando il danno a monte non è chiaro, per esempio perché il trauma alla testa è sembrato leggero e apparentemente senza conseguenze, o la malattia degenerativa non era stata ancora diagnosticata, il neurologo esegue diversi test sul paziente, che riguardano fra l’altro la comprensione delle parole, la fluidità del linguaggio, la capacità di ripetere e ricordare», spiega l’esperto.

Per curare l’afasia si punta sulla rieducazione

La terapia dell’afasia parte dal momento in cui viene risolta la patologia scatenante (come l’ictus), l’affianca e/o segue un percorso suo, a volte lungo. «Ci vuole pazienza, e molto dipende dal danno di partenza e dalla sua reversibilità, ma i miglioramenti sono possibili», spiega il neurologo. «Non esistono farmaci che curano in modo specifico l’afasia ma si punta sulla riabilitazione, in particolare sulla logopedia, la scienza che rieduca al linguaggio ed è condotta da professionisti preparati in modo specifico anche per questo».

È possibile recuperare

I miglioramenti dipendono anche dall’età e dallo stato di salute del paziente, ma possono essere importanti, come ha dimostrato la storia del celebre giornalista Rai Andrea Vianello, che ha sofferto di afasia grave (“Non riuscivo nemmeno a dire il nome dei miei tre figli”, racconta nel libro scritto per Mondadori, Ogni parola che sapevo) conseguente a un ictus cerebrale, e che oggi sta bene ed è tornato al suo lavoro dopo una lunga riabilitazione. Chi volesse ulteriori informazioni e approfondimenti può contattare Aita, la Federazione delle Associazioni italiane afasici (numero verde 800-912326), che aiuta i pazienti e i familiari a gestire la malattia e fornisce, oltre a informazioni preziose e aggiornamenti sul tema, anche i Centri di riferimento regionali per la riabilitazione e la cura. Altro link importante è quello della Federazione logopedisti italiani, dove trovi anche esperti in afasia.

Logopedia: come si recupera la parola

Lo strumento riabilitativo più importante nei casi di afasia è la logopedia, la “fisioterapia” del linguaggio. «Nell’afasia post-acuta, come quella dopo un ictus, l’obiettivo è recuperare l’uso e la comprensione delle parole», spiega Elisabetta Banco, logopedista e psicologa esperta in neuropsicologia. «Nel caso di una malattia degenerativa, lo scopo è invece contenere i danni con la progressione della malattia». Il logopedista lavora anche sul principio che le parole sono connesse fra loro come in una rete, attivandosi le une con le altre. «Un esercizio utile che facciamo, nel caso in cui non riusciamo a “trovare” una parola, è quello di arrivarci per connessioni logiche», spiega Banco. «Se non ricordo forchetta, chiederò al paziente a quale categoria appartiene l’oggetto. E poi: a cosa serve? Che forma ha? Dove la troviamo? Un oggetto collegato? Così il cerchio si stringe e si recupera il termine giusto». Col tempo e la pazienza, assicurano gli esperti, si può migliorare molto.

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afasia,
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