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«Ma alla Fondazione Einaudi votano Fdi?» se lo chiede un frequentatore della Rete, in queste ore, su Twitter, dopo un post pubblicato dalla Fondazione Luigi Einaudi. Se uno legge Fondazione Einaudi, pensa a Torino, al centro che dalla metà degli anni Sessanta raccoglie documenti e riflessioni intorno alle scienze sociali e all’eredità di Luigi Einaudi, da cui archivio, donato dalla famiglia alla collettività. E invece no.
La Fondazione Einaudi che da qualche ora è al centro del dibattito social sulla figura di Giorgia Meloni è un’altra. E non ha nulla a che vedere con quella di Palazzo D’Azeglio. Quest’altra ha sede a Roma, e ha una diversa storia politica a partire da quella del suo fondatore Giovanni Malagodi, uno dei maggiori esponenti del partito liberale italiano. Oggi è presieduta dall’avvocato e esponente liberale Giuseppe Benedetto e ha preso parte al dibattito scatenato dell’editoriale del New York Times sui rischi, per l’Italia, di una vittoria della leader di Fratelli d’Italia alle urne il prossimo 25 settembre.
«Giorgia Meloni non è fascista. Chi lo afferma è uno stolto. Si può dissentire in tutto o in parte dalle sue idee, ma non si possono dire gratuitamente fesserie – si legge nel cinguettio partito ieri sera dall’account social della Fondazione Einaudi – Meglio chiarirlo all’inizio di una campagna elettorale che rischia di essere eccessivamente avvelenata».
Il tweet, citato per quasi 400 volte e rilanciato altrettante, ha scatenato un dibattito social in cui in tanti chiedono conto alla fondazione romana della propria posizione, considerata da alcuni frequentatori del web, «un’uscita improbabile che mina la vostra credibilità».
Da parte della fondazione torinese, presieduta dall’ex ministro Domenico Siniscalco, nessun commento nel merito del dibattito, se non un netto distinguo. «Non ho seguito il dibattito su Twitter perché non frequento i social, mi limito però a chiarire che la fondazione romana è cosa diversa dalla nostra». E rispetto al merito delle posizioni politiche espresse? «Noi non abbiamo alcun ingaggio politico», chiarisce Siniscalco.
La posizione della Fondazione romana, in effetti, non è nuova. Il presidente, l’avvocato Giuseppe Benedetto, già nel 2021 era intervenuto nel dibattito scatenato dalla scelta di una libraia di Roma di non vendere le copie del libro autobiografico di Giorgia Meloni. Benedetto parlava di «un curioso, per non dire terrificante, cortocircuito: coloro che dichiarano di portare avanti una battaglia contro il fascismo ricorrono a condotte che richiamano talvolta proprio quel periodo storico. Il focus – proseguiva nel suo intervento pubblicato sul sito della Fondazione – non è se si debba condividere o meno il pensiero della leader di FdI, che notoriamente non è quello di chi scrive; si tratta di decidere se Giorgia Meloni è legittimata a far politica e a raccontare le proprie esperienze di vita come ogni altro cittadino. La risposta è certamente sì».