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Immobili, supermercati, società, in Lombardia, Lazio, Abruzzo, ma anche in Slovenia e Romania. A dispetto di inchieste e processi che li hanno colpiti o travolti, gli imprenditori legati al potentissimo clan De Stefano di Reggio Calabria hanno continuato silenziosamente ad operare. Su richiesta della procura antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, e per ordine del giudice delle indagini preliminari, otto persone sono finite in carcere, altre quattro ai domiciliari. Fra loro, ci sono nomi più o meno noti dell’imprenditoria reggina, ma anche un investigatore della Dia, di cui si sarebbero serviti per avere accesso a informazioni riservate.
Necessarie però. Perché gli imprenditori dei clan, i più nati grazie ai clan, i soldi devono continuare a farli girare, anche mentre i boss sono in carcere. Ma non in Calabria. Si dà troppo nell’occhio, i fari sono accesi. Il fiume carsico dei soldi di ‘Ndrangheta si è inabissato, per poi affiorare in territori noti come la Lombardia e il Lazio, ma anche nuovi territori di conquista come l’Abruzzo, la Slovenia – già in passato testata come sede delle società cartiere buone per far sparire i fondi europei – o la Romania, dove da tempo i clan fanno shopping di locali e casinò.
Risultato, hanno scoperto i pm Stefano Musolino e Walter Ignazzitto, un impero di 27 imprese, 31 unità immobiliari e varie quote societarie e disponibilità finanziarie, del valore complessivo di 32 milioni di euro. E non si tratta – qui il nucleo dell’indagine sviluppata da Dia e Guardia di Finanza – di singole iniziative, ma di un’operazione pianificata di infezione di interi settori economici. Alla base c’è infatti un’associazione a delinquere di imprenditori noti nel settore della distribuzione alimentare e dell’edilizia, che avrebbero messo professionalità e imprese a disposizione dei clan per un progetto comune: candeggiare capitali sporchi, reinvestirli lontano da casa, conquistare interi settori.
Ovviamente, tutto schermato da batterie di prestanomi e cartiere, forniture, commesse e subappalti, utili anche per far tornare il denaro, debitamente ripulito, in tasca ai clan. La garanzia che gli affari lontano da casa andassero in porto? Il metodo: anche lontano dalla Calabria, gli imprenditori dei clan non hanno mai rinunciato ai metodi di ‘Ndrangheta. E con quelli anche fuori si sono imposti.