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Incandidabili o incompatibili. In vista delle elezioni politiche, gli amministratori locali con aspirazioni parlamentari dovranno fare i conti con le leggi che limitano la loro aspirazione a diventare parlamentari. Al di là dei divieti espressi dalla legge Severino sull’incandidabilità per chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, altre sono le norme – in primis il decreto del presidente della Repubblica numero 361 del 30 marzo 1957 – che disciplinano l’ineleggibilità e l’incompatibilità di chi ha già cariche istituzionali o considerate di ‘supremazia’ o comunque di vantaggio. Le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate sono cessate almeno 180 giorni prima della fine della legislatura e, in caso di elezioni anticipate (come nella fattispecie quelle che si terranno il 25 settembre), entro i 7 giorni dallo scioglimento delle Camere.
Sindaci
I sindaci non possono candidarsi i sindaci dei Comuni con una popolazione superiore ai 20 mila abitanti. Per farlo devono dimettersi dall’incarico.
Presidenti di Regioni
I governatori possono candidarsi, ad eccezione per quelli delle Regioni e delle province autonome. Una volta eletti devono però dimettersi.
Consiglieri regionali
Sono ineleggibili i deputati o i consiglieri regionali: per candidarsi devono dimettersi.
Province
Non possono candidarsi i presidenti delle giunte provinciali. Anche loro, per un posto in Parlamento, devono lasciare l’incarico.
Cosa dice la legge per altre cariche istituzionali
Sono ineleggibili il capo e vicecapo della polizia, gli ispettori generali di Pubblica sicurezza, i viceprefetti e i funzionari di Pubblica sicurezza, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato nella circoscrizione del loro comando territoriale. Sono ineleggibili anche i magistrati – esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori -, i diplomatici, i consoli, i viceconsoli, eccettuati gli onorari, ed in generale gli ufficiali, retribuiti o no, addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, tanto residenti in Italia quanto all’estero. Non sono eleggibili, infine, i titolari, i rappresentanti legali, ma anche i consulenti, di imprese vincolate allo Stato. Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura.
Incompatibilità
Ai limiti previsti dall’ineleggibilità si aggiungono quelli dell’incompatibilità, cioè l’impossibilità per i politici di svolgere due determinati incarichi contemporaneamente per evitare possibili conflitti di interesse. Per questo, in caso di elezione, sono obbligati a scegliere tra una delle due cariche. I membri di Camera e Senato, per esempio, non possono essere allo stesso tempo consiglieri regionali, assessori regionali né parlamentari europei.
Il Pd, le regole e le deroghe per i big
Papabili candidati e eletti che cercano il bis dovranno fare un faticoso slalom tra il taglio dei parlamentari (da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori), le regole elettorali che spingono a patti per spartire i collegi con gli alleati, le norme sull’alternanza di genere e il tradizionale rinnovamento per arrivare in Parlamento con la nuova legislatura.
In questa cornice è quindi partita nel Pd formalmente la ‘corsa’ alle candidature. La ‘dead line’ è quella della prossima Direzione, che verrà convocata tra il 9 a l’11 agosto, in cui verranno votate le liste. A supportare Enrico Letta, il regolamento approvato in Direzione: sono incandidabili i sindaci dei grandi comuni (sopra i 20.000 abitanti), i governatori, i consiglieri e gli assessori regionali e i parlamentari per 15 anni consecutivi. Per tutti vale la possibilità di chiedere una deroga (da votare in Direzione).
Sempre il regolamento concede al segretario una sorta di wild card per proporre candidature “di rilievo” o “indicate da altre forze politiche con le quali il Pd abbia stretto accordi politico elettorali”. A sorridere tra i papabili è Nicola Zingaretti. Il regolamento approvato in Direzione prevede esplicitamente una deroga all’incandidabilità “per le Regioni che si trovino nell’ultimo anno di legislatura”. Il caso del Lazio, appunto.