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ROMA – “La verità è che non ha ancora deciso”. Alle cinque della sera uno dei parlamentari più vicini a Carlo Calenda riassume così lo stato d’animo del capo di Azione. Il solipsista chiamato a una scelta fra le più difficili della sua carriera: allearsi o no con il Pd? Alternativa in grado di proiettarlo al vertice delle istituzioni repubblicane – da lui già ipotecato con l’autocandidatura alla successione di Draghi – o viceversa precipitarlo al rango di cavallo di Troia: il leader politico che ha spalancato il portone di Palazzo Chigi all’estrema destra. Un peccato che gli amici europei e americani difficilmente gli perdonerebbero.
Il dilemma di Calenda
È dilaniato, Calenda. E non solo perché mezzo partito gli chiede di accordarsi con Enrico Letta, possibilmente alzando il prezzo sui collegi da spartire, mentre l’altro mezzo – incluse le new entry berlusconiane, insieme a quelle che starebbero per arrivare – lo prega di correre fuori dai due poli per provare a scardinarli entrambi. Impegnato in una girandola di incontri e colloqui riservati, è combattuto perché ancora non ha capito cosa sia meglio fare. Non tanto per sé stesso e la sua lista, quanto per il Paese. Condividendo con il segretario del Pd l’obiettivo finale di queste elezioni: impedire la vittoria dei sovranisti e l’inevitabile deragliamento geopolitico dell’Italia. Perciò ha commissionato un mega-sondaggio che “ci è costato un occhio della testa”. Un’analisi dettagliata di quel che potrebbe accadere nei due scenari costruiti sulla base degli ultimi sondaggi che danno Azione/+Europa in crescita: sia se corresse da solo (con o senza Renzi), sia partecipando alla coalizione di centrosinistra prefigurata da Letta.
Gli elementi da valutare
Ne ha bisogno per poter arrivare alla decisione finale. Che “comunque prenderà all’ultimo momento”. Troppi gli elementi ancora da valutare. Innanzitutto, il criterio col quale suddividere i seggi della quota maggioritaria, ovvero i 44 al Senato e i 147 alla Camera oggetto dell’eventuale intesa tecnica con i dem. Poiché quasi tutte le rilevazioni danno ormai Azione al 6% e il Pd al 23, Calenda sarebbe orientato a chiederne un terzo, equamente distribuiti tra sicuri, contendibili e persi. Un primo abboccamento fra gli emissari dei due partiti ci sarebbe stato già ieri: giusto per sondare il terreno.
“Non ci provassero nemmeno a fregarci, proponendoci 4 o 5 collegi, altrimenti la coalizione finisce prima di cominciare”, avvertono i Calenda boys. E non è neppure l’unico sospetto che avvelena questa arroventata vigilia elettorale. L’altro, forse il più pesante, riguarda la tenuta dell'”amico Letta” sul no a Giuseppe Conte e la possibile resurrezione del patto giallorosso che l’ala sinistra rifiuta d’archiviare. Lo dice chiaro al mattino l’ex ministro dello Sviluppo, parlando a Radio Anch’io: “Gli interventi nella Direzione Pd erano tutti nell’ottica “siamo stati bravissimi, rivendichiamo l’alleanza con i 5Stelle”. Sostanzialmente si diceva che erano meglio loro di Calenda. Se stanno preparando un’alleanza forte ed elettorale con loro, noi non ci possiamo stare perché noi con i 5S non ci siamo mai stati”.
Un’evenienza che non può essere scartata. E che però stroncherebbe sul nascere qualsiasi ipotesi di accordo. Spianando la strada alla corsa solitaria, su cui pure Renzi spinge moltissimo: “Come fai a stare in coalizione con gente che ha idee opposte alle tue? Facciamo una lista unica io e te”, continua a proporgli il leader di Italia Viva. Che ieri ha denunciato: “C’è qualcuno che mette il veto su di noi per antichi rancori personali. Chi fa questa scelta si assume una bella responsabilità in caso di sconfitta”. Con Beppe Sala lesto ad avvertire: “Spero che nessuna ponga veti, senza campo largo si perde”.
E dunque non sembra un caso la voce circolata ieri in Transatlantico di un meeting segreto tra i leader di Azione e Iv con la ministra Carfagna, che in serata ha formalizzato la sua uscita da FI. I diretti interessati smentiscono, ma c’è chi giura sia vero: il forno centrista è aperto. Pronto a partire.