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“È una storia interessante, spero di non dimenticare qualcosa, ma a volte accade che i pianeti si allineano”. Renzo Piano torna con la memoria alla nascita dell’Expò colombiano, in quel 1992 da cui partì la rinascita di Genova. Finita l’epoca della monocultura – tutta industria, tutto porto – fu proprio l’Expò a cambiare l’agenda dello sviluppo cittadino, improntato a un mix in cui l’industria e il porto si univano all’alta tecnologia e ai servizi alle merci e alle persone.
Per progettare il nuovo, insomma, ci volle una parola antica, perché è proprio dal Porto Antico che tutto ha inizio. L’architetto fa un ulteriore passo all’indietro, alla genesi del progetto che rimanda agli anni Ottanta, ma poi sceglie di guardare avanti, a quel Waterfront di Levante che rappresenta una sorta di continuità fisica e culturale con l’Expò. È qui che la progettazione può riservare ancora novità importanti, a cominciare dal recupero dei moli medievali per farne una sorta di “triat d’union” fra i due disegni.
Architetto Piano, trent’anni di Porto Antico. Il primo pensiero?“Va ancora più indietro, perché il 1992 fu un punto d’arrivo di un’operazione nata una decina d’anni prima. Io avevo finito il BeauBourg nel ’77, facevo avanti e indietro con Genova, quando il sindaco Fulvio Cerofolini mi parlò di questa idea che all’epoca si valutava ancora su più ipotesi”.
Quali?“La zona dell’attuale Waterfront di Levante e le aree dismesse della Valpolcevera. Ma quella più suggestiva e anche più complicata, era quella di riportare Genova sul mare nelle aree dell’attuale Porto Antico”.
Che cosa le disse di preciso Cerofolini?“Rensu, chi nun se stragia ninte. Se lavoriamo a questa idea è perché non abbiamo intenzione di buttare niente, continuando a utilizzare in futuro quello che è stato realizzato per l’esposizione, contrariamente a tante esposizioni che nascevano e poi morivano senza lasciare nulla. Questa Expò di Genova venne decisa in parallelo con le celebrazioni colombiane di Siviglia e questo desiderio di recupero e impiego futuro era musica per le mie orecchie, era la soluzione più affascinante che ci consentiva di interpretare il Dna della città”.
Qual è?“Il contatto di Genova con il suo mare, quello operoso, del lavoro, non quello della spiaggia. E poi l’idea di non sprecare niente si lega perfettamente con la parsimonia, la sobrietà dei genovesi, che non vuol dire avarizia. Bello che tutto questo sia venuto dal sindaco-tramviere, Cerofolini”.
Il primo passo ufficiale?“Al Bie (Bureau International des Exposition n.d.r.) di Parigi. Io ero già lì, Cerofolini arrivò da Genova e intervenne anche Fernand Braudel, il grande storico francese profondo conoscitore del Mediterraneo e che conosceva quindi bene Genova e il suo idea. Lui sposò subito questa idea”.
E che disse?“Genial! Io avevo già rapporti con l’Unesco di cui il Bie fa parte. La presentazione andò benissimo e ricordo ancora i complimenti di Braudel che ci disse che avevamo interpretato perfettamente la cultura della città. In effetti era un’idea vincente. Ricordo anche sulla strada del ritorno di aver dimenticato sul taxi tutti i rotoli del progetto”.
Riuscì a recuperarli?“Non li ho mai più trovati, ma avevo altre copie”.
Gli anni della costruzione coincisero anche con altri progetti, come la Metropolitana e il sottopasso. Grande fermento e non poche polemiche…“So che c’è stata sofferenza, soprattutto per quello che è accaduto al porto medievale, con lo sconvolgimento di quei moli. Ma vorrei essere chiaro. Le idee che abbiamo portato avanti erano importanti per la città, nessuno ha mai pensato di fare speculazioni immobiliari, ma abbiamo sempre e solo messo al centro Genova. Ricordo bene che con la Sovrintendenza si fece un patto per mettere al riparo quei moli in un’area urbana, per decidere poi come utilizzarli. Quei moli sono ancora lì e noi abbiamo ripreso a parlarne”.
Quando?“Un anno fa e abbiamo trovato subito sintonia con la Sovrintendenza, sempre così attenta a queste tematiche. Da lì è nata un’idea importante”.
Quale?“Riguarda la connessione fra Porto Antico e Waterfront di Levante. Bene, quel tratto che arriva fino alla Batteria Stella può utilizzare proprio quei moli storici che erano stati smontati e portati lì. Si possono usare per ricostruire il rapporto con l’acqua. D’altra parte, questo è lo spirito del progetto pensato già dieci anni fa. Il Waterfront è il pezzo più a levante di questo disegno unitario, con il canale che si allarga, si restringe e si allarga di nuovo e che riporta l’acqua del mare a lambire le mura di Genova. Così era il porto prima dei riempimenti e quella ripa medievale può riemergere in questa idea di cui abbiamo discusso con la Sovrintendenza”.
Si potrebbe fare pace, a trent’anni di distanza, con chi sollevò critiche sul progetto?“L’operazione del sottopasso non era parte del progetto dell’Expò, è stata un’altra cosa. Ma io in tutta sincerità non cederei a questa impostazione in cui dobbiamo sempre vedere buoni e cattivi. Guardiamo al disegno nel suo complesso e alle possibili connessioni che si potranno realizzare in una passeggiata che parte da Boccadasse e arriva fino al Porto Antico e poi va oltre. Per ora stiamo progettando il tratto che arriva fino alla Batteria Stella”.
E il resto?“L’iter sarà necessariamente più complesso, non dimentichiamoci che si tratta di attraversare le riparazioni navali, che è un’area industriale. Ma il tema di fondo non cambia, ieri come oggi resta forte l’idea di recuperare il rapporto fra Genova e il mare. Sono passati trent’anni da quella prima impostazione materializzatasi con l’Expo e continuiamo a pensarla allo stesso modo”.
Fu quindi un’idea vincente la sua?“Non la mia, sia chiaro. L’idea è scaturita da più persone. Ho citato Cerofolini, ma è chiaro che mi sono confrontato con tutti i sindaci e gli amministratori. Le idee buone escono da più persone. È così, nella vita. E io sono sempre stato convinto che debbano essere poche e chiare, mentre spesso se ne vedono tante e confuse”.
Restiamo sul concetto di idea vincente, architetto Piano. Da che cosa lo si può intuire?“I progetti sono come le creature, i figli, se vogliamo. Dobbiamo sempre chiederci se sono felici oppure no. Non parlo di muri, ma di luoghi. Ecco sono felici o non lo sono questi luoghi?”
Lei che cosa ne pensa?“Io le spiego come mi comporto. Sono stato di recente in luoghi che ho progettato, ad Atene, a New York. Quando sono lì guardo le facce della gente dentro gli edifici. Se sono facce felici allora sì, questa è stata un’idea vincente. E io credo che si possa dire questo anche per il Porto Antico, a trent’anni di distanza dalla sua inaugurazione”.
Adesso c’è il Waterfront, il progetto corre e per quanto riguarda il quartiere fieristico sarà pronto per settembre 2023, in coincidenza con il Nautico…“Mi hanno colpito le immagini che avete pubblicato nei giorni scorsi, con quelle bitte che al momento sono ancora piantate nel cemento e circondate dalla terra. Ecco, è come se stessero emergendo, perché presto saranno bagnate dall’acqua dei canali e allora assolveranno alla loro funzione, che è quella di permettere alle imbarcazioni di legare i loro cavi d’ormeggio. Le città, in fondo, sono proprio come esseri viventi”.