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E alla fine il Csm in carica – che ha rischiato di “saltare” quattro anni fa sul caso Palamara, ma è stato “salvato” dal rifiuto di Mattarella di andare a un voto sempre con la stessa legge elettorale – dovrà essere prorogato. Inevitabilmente. Per l’imprevedibile coincidenza delle elezioni politiche del 25 settembre che bloccano la scelta parlamentare dei dieci consiglieri laici, scelti tra avvocati e professori universitari. Li voterà il futuro Parlamento. Il “quando” è del tutto imprevedibile. Certo è che tra il 18 e il 19 settembre si svolgeranno le elezioni dei 20 componenti togati. Per la prima volta nella storia della magistratura si svolgerà una campagna elettorale con i palazzi di giustizia chiusi per ferie. Prospettiva che ha provocato più di una protesta. Ma gli eletti e le elette dovranno aspettare l’arrivo dei componenti laici. Gli uni e gli altri – ma chissà quando – dovranno a loro volta eleggere il nuovo vice presidente.
SCHEDA: La riforma della giustizia
Ma partiamo da una novità, nel rispetto della nuova legge Cartabia sul Csm. Che prevede, almeno per la pattuglia dei laici, la parità di genere nelle candidature. Lo stesso non si è potuto fare alla fine per i componenti scelti dal Parlamento perché è risultato impossibile trovare una soluzione che imponesse a deputati e senatori di selezionare e poi votare sia uomini che donne. Per i magistrati in corsa invece questo è stato possibile. E per le liste che non rispettano la parità di genere ha provveduto ieri la Cassazione sorteggiando le candidate femminili. In tutto 39 donne, qualcuna in più in vista di qualche eventuale rifiuto, distinte tra le candidate che corrono per i posti riservati ai giudici di legittimità, le toghe che lavorano in piazza Cavour. Sei le giudici selezionate, tra cui un nome noto come quello di Pina Casella, di Unicost, che però è già stata al Csm. E ancora 15 magistrate per i pubblici ministeri e 18 per i giudici, distribuite nei quattro collegi.
Una novità rilevante del sistema elettorale contenuto nella legge Cartabia che certamente ha prodotto un gran numero di candidati. Di certo non le sparute liste del 2018, quando addirittura si candidarono, in un collegio unico nazionale, quattro pm per altrettanti posti. Alle correnti tradizionali – la sinistra di Area, la centrista Unicost, la destra di Magistratura indipendente, i davighiani di Autonomia e indipendenza – si aggiungono candidati del tutto autonomi, come il pm di Napoli Henry John Woodcock, e quelli sorteggiati dal gruppo di Altra proposta. Ma stavolta Magistratura democratica ha deciso di correre da sola dopo la “separazione” da Area. E dentro Area non sono mancate polemiche sui candidati scelti con le primarie del 7 e 8 luglio. Due magistrati milanesi – il pm Roberto Fontana e la giudice Luisa Savoia – hanno deciso di “correre” da soli. Avevano chiesto primarie non nazionali, come poi sono state, ma per distretto. Di fronte alla scelta del segretario Eugenio Albamonte hanno deciso di candidarsi in solitaria. Fontana, che è da pm a Piacenza dove ha seguito il caso Bellomo, si presenta con cento colleghi che sostengono la sua candidatura.
Scorrendo le liste non mancano i nomi conosciuti, per citare i più noti ecco l’ex segretaria di Mi Paola D’Ovidio che corre in Cassazione, il procuratore di La Spezia Antonio Patrono, che per Autonomia e indipendenza punta a uno dei posti riservati ai pm. E ancora, sempre per i pubblici ministeri, il romano Mario Palazzi, e il procuratore aggiunto di Taranto Maurizio Carbone. Mentre a Roma, per Md, tra i giudici c’è il gip Valerio Savio. Sempre tra i giudici, per Unicost, ecco Roberto D’Auria, giudice penale del tribunale di Napoli.
Cinuanta giorni di campagna elettorale che certo sconteranno il deserto dei palazzi di giustizia, almeno ad agosto. E poi, una volta eletti, i venti togati continueranno a fare il loro lavoro “in attesa” che il nuovo Csm parta. Tutto dipenderà da quando il Parlamento potrà riunirsi in seduta comune, dopo scadenze che inevitabilmente avranno la precedenza sul Csm. La scelta dei presidenti delle due Camere, il voto sul futuro governo, nonché la legge di stabilità che incombe come scadenza prioritaria.
Un cammino difficile che potrebbe anche comportare una lunga proroga per l’attuale Csm. La responsabile Giustizia del Pd Anna Rossomando riflette sulla coincidenza tra il voto politico e quello per il Csm e dice: “Una delle conseguenze di questa insensata crisi di governo sarà l’inevitabile rinvio dell’elezione dei membri laici del Csm e della formazione del nuovo Consiglio. Ma c’è di più. Infatti una riforma attesa e di grande rilevanza come quella del Csm, su cui abbiamo sventato più volte tentativi di affossamento, prevede l’approvazione di decreti attuativi per essere completata. Sarebbe opportuno arrivare all’emanazione di questi decreti il prima possibile per dare piena attuazione alla riforma”.
Nuovo Parlamento, nuove maggioranze, nuovi ministri. E una riforma, proprio quella del Csm, che a differenza delle nuove leggi sul processo civile e sul processo penale, vede più lontana la scadenza dei decreti attuativi, giugno 2023. Il nuovo Csm si troverà in pieno nel guado tra vecchie e nuove regole, e i suoi “numeri” interni dipenderanno anch’essi dal voto politico che, a seconda degli esiti, ne determinerà anche la composizione “politica”. Anche questa volta, com’è avvenuto nel 2018, a essere eletti saranno prima i togati – quattro anni fa furono votati all’inizio di luglio – e poi il Parlamento a settembre scelse i laici. Un “uno-due” che avvantaggia la politica nel determinare, con i laici, le future maggioranze nel plenum del Csm. Ma stavolta le elezioni politiche impediscono una contestualità, perché la data del 18 e 19 ottobre decisa per decreto da Mattarella, non è rinviabile. E perché il Parlamento dovrà prima insediarsi e poi pensare al Csm.