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Omicidio di Civitanova. Don Vinicio Albanesi: “Razzismo e rabbia che si sfogano sui più fragili”.

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 «Razzismo e disprezzo per la vita, figli di un senso di onnipotenza malato, di una rabbia che si sfoga sui più fragili, sui disabili, contro chi ha la pelle scura, contro le donne». E’ piena di amarezza la voce di don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco, il grande polo di welfare che dagli anni Settanta accoglie, in questa frazione marchigiana, eserciti di esclusi ed emarginati Tossicodipendenti e malati mentali, minori non accompagnati e vittime di tratta, rifugiati e immigrati. Come Alika Ogorchukwu, nigeriano, selvaggiamente ucciso, ieri, nel centro di Civitanova, a colpi di stampella, dalla furia bestiale di un italiano, bianco e feroce.

Don Vinicio, a quattro anni dalla sparatoria di Luca Traini contro gli immigrati di Macerata, una nuova, terribile, aggressione razzista.«Questa è una regione diffidente, che accetta gli stranieri, neri, soltanto se ha bisogno di manodopera. Siamo rimasti a una cultura di villaggio che disprezza chiunque non sia bianco e locale. Pensate che spesso quando un prete nero dice la messa, poi c’è chi viene a lamentarsi da me,dicendo che quella messa non è valida. Capite?»

Possibile? Nel mondo globalizzato?«Il razzismo è globalizzato, non la civiltà. Dopo l’attentato di Traini del 2018, in questa regione era diminuito l’afflusso di immigrati africani. Per paura. Oggi infatti c’è un disperato bisogno di manodopera. Ma anche per questa c’è il razzismo».

In che senso don Vinicio?«I neri vengono presi per lavare i piatti, per lavorare nei campi, per le pulizie, raramente impiegati, ad esempio, per servire ai tavoli nei ristoranti».

Perchè?«Me l’ha confessato la proprietaria di un ristorante. i clienti non amano essere serviti da un cameriere nero».

Un quadro amaro.«Nel quale il razzismo è un’ aggravante culturale, ma quello che vedo è comunque una violenza diffusa, una rabbia fuori controllo. Oggi è toccato a un ambulante nigeriano, domani potrebbe toccare a un disabile».

Il rifiuto di dare la cittadinanza agli stranieri di seconda generazione, acuisce le discriminazioni?«Sì, purtroppo. Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché la legge sullo Ius Scholae fa paura. Non diamo la cittadinanza a bimbi straniera ma italiani a tutti gli effetti, però nelle Marche che si spopolano le scuole elementari fanno a gara per avere in classe i figli degli immigrati. Altrimenti i plessi chiudono e le maestre restano senza lavoro».

Cosa fare? Ci si sente impotenti.«Accogliere e fare cultura. L’unica strada è la fratellanza».

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