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NAPOLI – “Amarezza? Perché? Credo di aver servito le istituzioni con onore. Di aver fatto il mio dovere fino in fondo”. Lo sguardo sembra sereno, non vorrebbe mai che affiorasse rimpianto o polemica, adesso che la corsa sembra finire, dopo lo scranno più alto di Montecitorio. L’ex ragazzo di Posillipo che si è ritrovato terza carica dello Stato vuole lasciare con stile. A 47 anni significa anche gratitudine. “Sono felice di questi anni. Felice di questo ruolo”, dice Roberto Fico. Ma la domanda numero uno è un’altra, lo sa e reagisce con coerenza, allarga le braccia, piega la testa: “Cosa farò adesso? Semplicissimo. La campagna elettorale”.
(ansa)Fico ha sempre sorriso come fanno i timidi: di rimessa, d’istinto per natura mite, o per riempire esitazioni nei discorsi. Resta in ufficio nel weekend, il presidente della Camera rimasto al fianco diGiuseppe Contementre il Movimento finiva in macerie, eLuigi Di Maio traghettava nel suo nuovo partito una vagonata di parlamentari. “È solo un’operazione di potere”, aveva sibilato a giugno. Ma ora affronta l’agenda pubblica senza battere ciglio di fronte all’ufficialità della notizia che si temeva: zero deroghe allo stop sul secondo mandato, niente ulteriore candidatura. Ieri era giornata di relazione all’Autorità Garante per le Comunicazioni, “il ruolo dell’Agcom sarà particolarmente prezioso nelle prossime settimane”, sottolinea Fico ai microfoni, vigilare, speriamo di non vederne delle belle, mormora a margine della sua relazione, con qualche amico venuto a dirgli “bravo Robe’, tu sei una persona seria”.
E quindi sul fatto che sarà in campo accanto all’ex premier e oggi leader dei (frantumati) Cinque Stelle, non lascia dubbi. “Questa battaglia per le Politiche va affrontata perbene e con grande impegno. E tutti devono lavorare – si limita a rispondere a Repubblica -. Questo per me è importante. Non il futuro dei singoli o l’interesse personale”. Insomma: non tradisco come altri, non mi vendo per una poltrona? Anche se ci aveva sperato, via. Ma Fico alza le mani, sorride e stoppa. “Sono sempre stato neutro, non ho mai spinto in un senso o nell’altro. Ho alle spalle tanti anni di impegno, di battaglie nel Movimento. E ho sempre saputo che esisteva questa regola per noi: anzi, ci ha resi diversi e credibili. Quindi non sono cambiato, sono tranquillo”.
Quattro anni e quattro mesi dalla sua elezione a Montecitorio (la rinuncia allo stipendio come presidente, sempre mantenuta): ma è un secolo fa, per le sabbie mobili di governo e Parlamento. Tanti momenti, piccole certezze che danno serenità, “sa di essere rimasto radicale contro le mafie, vicino ai più deboli”, dice uno dei suoi amici-collaboratori. Ricordi preziosi lo seguiranno: come quando “fu a lungo applaudito in piazza Fontana, a Milano, era il 2018, perché chiese cinque volte scusa. Se non lo ha fatto nessuno finora, vi chiedo io scusa con umiltà dalla carica che ricopro. Scusa per i depistaggi, scusa per la burocrazia, e così via”. Da Napoli, anche i suoi amici più stretti – “quelli che non fanno politica attiva, ma non hanno mai smesso di interessarsi di battaglie sociali”, ha sempre detto Fico – lo descrivono come pacificato. Grazie anche all’unione solida con la sua compagna (e talentuosa fotografa) Yvonne, anche lei membro dei vecchi meet-up, ma con vita autonoma.
Sembra però siano due, in particolare, le cose di cui Fico va più fiero, oltre s’intende “al privilegio di essere stato al fianco del nostro Capo dello Stato, un grande Presidente, Mattarella“. Quindi: una lotta su tutte, al fianco dei genitori di Giulio Regeni, l’incontro del presidente della Camera con Al Sisi, in fondo l’unico che gli ha detto in faccia “tutta la verità”, la decisione di aver interrotto le relazioni con il Parlamento egiziano. E poi, la seconda, una scelta sofferta: aver detto no alla corsa per diventare sindaco a Napoli, “la mia città, che amo”. Qui gli amici partenopei non saranno imparziali, ma non hanno tutti i torti:
“Roberto sapeva che, al 90 per cento, la regola sullo stop ai due mandati non sarebbe caduta. E tutto il centrosinistra gli aveva chiesto di correre come primo cittadino: lui poteva fare un bel salto dalla Camera a Palazzo San Giacomo, una poltrona importante dopo un ruolo tanto prestigioso. Ha detto no, sa perché? Perché lasciare nell’autunno scorso, con quella maggioranza ballerina a Montecitorio e l’imminenza degli accordi sottobanco per il Quirinale, avrebbe esposto la Presidenza della Camera a prove e giochini pericolosi”. È lo stesso concetto che Fico aveva sintetizzato, sempre l’ottobre scorso, mentre festeggiava la vittoria dell’alleato (ed ex ministro del governo Conte II) Gaetano Manfredi come primo cittadino di Napoli. “Sono fiero di aver anteposto l’interesse generale al mio”, disse. Che forse, per l’ex ragazzo di Posillipo, significava anche: un po’ mi è costato, era un altro bel sogno da realizzare, mentre – almeno per ora – si torna a casa