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Dunque, l’accordo era fatto. Enrico Letta e Carlo Calenda si erano visti all’Arel, giovedì scorso, e avevano combinato di procedere insieme: senza nascondersi le difficoltà, ma con un cronoprogramma ben definito e alcuni punti fermi sulla spartizione dei collegi. Dunque, il weekend di passione, ultimatum e lettere zeppe di condizioni impossibili da accettare era tutta una fiction. Che il segretario del Pd decide di svelare non come rappresaglia, bensì per segnalare l’inizio di una controffensiva mirata a inchiodare il leader di Azione alle sue responsabilità.
Calenda-Letta, alleanza in bilico: cosa vogliono e perché
di
Piera Matteucci
Tre le mosse stabilite con il Coordinamento politico del partito, convocato d’urgenza. Rispedire al mittente il metodo Calenda, basato su veti e aut aut. Rilanciare con tutte le forze politiche sul terreno dell’unità. Giocare a carte scoperte per dimostrare che, se l’alleanza dovesse sfumare, la colpa non è del Pd che ha sempre fatto l’impossibile per andare incontro alle istanze di Azione, bensì del suo leader che cambia le carte in tavola al ritmo dei tweet con cui ingolfa l’etere a ogni ora del giorno.
A metà pomeriggio, incassato il mandato, Letta passa al contrattacco. Prima sente Emma Bonino, che gli garantisce copertura. Quindi rivela, con una durezza mai prima esibita, ciò che finora era rimasto segreto: l’apparentamento era stato siglato già il 28 luglio. Con Calenda s’erano dati appuntamento nella sede dell’Arel, dove l’inquilino del Nazareno conduce le trattative più delicate, e avevano sancito l’avvio di un percorso comune. Sui criteri per spartirsi i collegi avrebbero discusso le rispettive delegazioni, che infatti si sono incontrate il pomeriggio successivo, ma l’intesa sugli uninominali andava stretta dai due segretari. E loro l’avevano fatto. Concordando la candidatura di tutti i big della coalizione: non solo Di Maio, Bonelli e Fratoianni, pure le due transfughe forziste Gelmini e Carfagna. Esattamente l’opposto di quanto richiesto dai leader di Azione +Europa, 72 ore ore dopo, nella missiva recapitata al segretario dem.
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di
Stefano Baldolini
È questo che ha più indispettito Letta. “Per me la parola data è tutto”, riflette a voce alta. “Io sono abituato che se do la mano poi si va avanti, invece se tutto salta allora stringersi la mano non significa niente”. E allora, come fidarsi (ancora) di uno così? Tanto più che l’impegno preso quella sera prevedeva anche di annunciare il matrimonio fra lunedì e martedì. E invece, sabato, sono bastati alcuni retroscena sui giornali – la fake news sulla candidatura diFiconella lista dei Democratici e quella di Di Maio nel collegio di Modena – perché innestasse la retromarcia. Incrinando, insieme al rapporto di fiducia, un negoziato in fase già avanzata.Letta tuttavia non intende darsi per vinto. “Il Pd rappresenta un quarto degli elettori, sento il dovere di provare a dare un orizzonte di speranza al Paese che con i sovranisti rischia di deragliare”, insiste. Deciso a tentarle tutte – “con pazienza e spirito ecumenico”, sospirano i suoi – per portare a casa l’accordo con Azione e costruire un centrosinistra plurale. Nonostante intemperanze del suo leader abbiano irritato, e non poco, l’intero stato maggiore dem. Sempre più incline al pessimismo.Dario Franceschinilo dice chiaro nel “gabinetto di guerra” convocato al Nazareno: “Quanto ha fatto Carlo negli ultimi due giorni dimostra che vuol rompere, non facciamoci illusioni”. Ma se pure “il metodo usato è insopportabile”, fa eco Lorenzo Guerini, “un’intesa va cercata anche con loro. Naturalmente senza veti”. MentreAndrea Orlandoavverte: “Andiamo avanti, ma in fretta. E attenzione a non offrire pretesti sul fronte di una possibile rottura”.
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di
Stefano Cappellini
È questa, la preoccupazione adesso. Che i giochini dell’ex ministro dello Sviluppo puntino a logorare il Pd per erodergli consenso. “Chi è Calenda non lo scopriamo oggi”, attaccaMatteo Orfini, “se proseguiamo dobbiamo sapere che rischiamo di trovarci un nemico in casa e di far scappare Fratoianni e Bonelli. Una cosa da evitare a ogni costo se non vogliamo aprire un’autostrada a Conte e ai 5S”. Ma Stefano Bonaccini è lapidario: “Senza Calenda finiremmo per assomigliare al Pds, dobbiamo assolutamente recuperarlo, solo così abbiamo la possibilità di vincere le elezioni”. Letta ascolta, ma pensa già a stamattina. Al vertice, organizzato alla Camera, per scoprire le carte. E verificare se era tutto un bluff.