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Stavolta hanno voluto i testimoni, Enrico Letta e Carlo Calenda. Meglio evitare il bis di giovedì scorso: l’incontro segreto all’Arel, la fondazione di Beniamino Andreatta che è la seconda casa del segretario dem, dove i due si erano visti col favor delle tenebre per suggellare l’alleanza con una stretta di mano. Convinto uno che potesse bastare, l’altro di poterla disfare a suo piacimento. Intuizione felice: in fondo a due ore di batti e ribatti, recriminazioni e contesa sui collegi, il patto è siglato. Con tanto di firma. Sulla questione più spinosa, le candidature nei collegi uninominali, si trova un compromesso: nessuno dei leader della coalizione correrà nel maggioritario. Stavolta è ufficiale. Nessuno potrà più tornare indietro.
Il film della mattinata
Appuntamento alle 11 a Montecitorio, uffici del gruppo Pd. Letta, con le due capigruppo e il coordinatore del partito, arriva un quarto d’ora prima. La puntualità è sempre stata il suo forte. Lo stesso non può dirsi degli ospiti, che si fanno aspettare. Prima si palesano i buoni, Della Vedova e Magi, i vertici di +Europa che l’accordo lo vogliono fare. Quelli cattivi, Calenda e Richetti, con mezz’ora abbondante di ritardo: “Veniamo con spirito costruttivo, non è difficile se c’è la volontà”, proclama all’ingresso l’ex ministro dello Sviluppo, inseguito più di una primadonna. D’altronde buon sangue non mente, il rampollo di una famiglia fra le più blasonate del cinema conosce a menadito le regole del mestiere: suspance, pause studiate e improvvise accelerazioni sono ingredienti indispensabili per ogni buon copione. Thriller per alcuni, telenovela per altri, in Transatlantico hanno già trovato il titolo: “Highlander”, ne resterà soltanto uno.
Il colpo di scena
Dentro si discute parecchio. “Come finisce?” chiede la cronista via whatsapp. “50 e 50” risponde laconico uno dei protagonisti. C’è chi dice sia ormai solo una questione di seggi. Attendere prego. Passano i leghisti Calderoli e Giorgetti, si informano “come sta andando?”, spettatori interessati di una pièce che può cambiare la partita elettorale. Al 49esimo minuto la portavoce di Letta fa capolino. “A che punto siamo?”. “Non siamo”, replica Monica Nardi. Un richiamo a Montale, al “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, che suona come un invito a non domandare parole che diano certezze. Non ce ne sono, ancora. Ma bisogna aver fede, il clima si sta mettendo al bello.
Il lieto fine
Al 120esimo minuto, a tempi supplementari abbondantemente scaduti, le nubi spariscono. Il patto è firmato. C’è la condivisione sul metodo e l’azione del governo Draghi, il no all’aumento del carico fiscale, la riforma del bonus 110%, la barra dritta sui diritti civili, salario minimo e rigassificatori nel quadro di una transizione sostenibile. Un mix di progresso e moderazione. Che accontenta tutti tutti, alla fine.