[ Leggi dalla fonte originale]
ANCONA – Nella penombra di questa palazzina bianca tra le campagne marchigiane, Antonio ci viene incontro spingendo la sua carrozzina. “Accomodatevi, dentro fa fresco. Alexa, accendi la luce. Guardate, sto progettando l’imbragatura per lanciarmi, ancora una volta, con il paracadute”.
E’ possibile nella sua condizione?
“Certo, l’ho già fatto e voglio riprovare quell’emozione pazzesca prima di morire. Così come mettere in moto la mia nuova auto con i comandi speciali e fare un viaggio alle Canarie. Sarà per questo, perché nascondo il mio feroce dolore, che i medici dell’Asur Marche dicono che sono troppo vivo per suicidarmi? Ah, dimenticavo, mi accompagnate al concerto di Caparezza?”.
Ironico, la barba curata, il viso arguto e affilato. Un grande salotto con installazioni luminose sulle pareti, “le ho costruite io”, gli spazi ampi perché gli ausili scivolino senza ostacoli, i manifesti dei concerti più amati, tutto è tecnologico, tutto è perfetto. Uno sci da snowboard pende dal soffitto, ricordo, dice Antonio citando Vasco, di “una vita spericolata”. “Quando la mia esistenza si è fermata, il 14 giugno del 2014, mi sono ritrovato inchiodato alla carrozzina, fermo per sempre, ho deciso che nonostante fossi paralizzato dalla vita in giù, senza più sensibilità nemmeno sulle braccia, dovevo essere il più autonomo possibile. E ho progettato questa casa. Facevo impiantistica di alto livello, le competenze non mi mancavano”.
Antonio come Elena. Vorrebbe morire in Italia, anzi, a differenza di Elena, (malata oncologica accompagnata nei giorni scorsi a Basilea da Marco Cappato perchè per la sua malattia non poteva accedere al suicidio in Italia) ne avrebbe il diritto. Sulla carta però. Per disperazione infatti Antonio è pronto ad andare in Svizzera. Nome di fantasia, 44 anni, assistito dall’Associazione Luca Coscioni e in particolare dall’avvocata Filomena Gallo, Antonio è uno dei pazienti marchigiani che hanno fatto causa all’Azienda Sanitaria Unica delle Marche per poter ottenere il suicidio assistito in Italia. Come Federico Carboni, morto nel giugno scorso. “Eravamo amici” dice commosso. Un montacarichi porta al piano di sopra, dove Antonio ha fatto costruire una vera e propria palestra. “Vedete, ce l’ho messa tutta per migliorare, se oggi chiedo di morire è perché davvero la sofferenza non mi dà tregua”. Gelosissimo della sua privacy Antonio ha aperto le porte a Repubblica.
Antonio, proviamo a capire, cosa sta succedendo?
“L’équipe medica incaricata di verificare le mie condizioni e accertare se avessi o meno i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale per accedere, legalmente, al suicidio assistito, ha affermato che queste caratteristiche ci sono. Sono lucido e consapevole della mia scelta, dipendo da sostegni vitali, ho una gravissima sofferenza soprattutto psicologica e non ho più alcuna speranza di migliorare”.
Quindi lei con il supporto dell’Associazione Coscioni potrà procedere?
“Invece no, almeno per adesso. Perché non solo i medici non hanno dato alcuna indicazione sul farmaco, affermando anzi di non potersi esprimere su questo punto. Ma hanno sottolineato il fatto di non aver incontrato la mia famiglia e mi hanno proposto di fare un nuovo percorso di cure palliative e di sostegno psicologico.”.
E lei vorrebbe seguire queste indicazioni?
Sorriso ironico. “Potrei fare anche più fisioterapia o prendere più farmaci, ma la decisione non cambierebbe. Non è solo il dolore del mio corpo a essere insopportabile, è il dolore della mia mente. A me non manca nulla. Né l’assistenza, né il calore degli amici e della famiglia. E’ essere fermo su questa carrozzina e dipendere in tutto e per tutto dagli altri che mi strazia. Un bicchiere d’acqua, una passeggiata, infilarmi un maglione, fare una doccia. Io che ero una “saetta”, come dicevano i miei amici, lavoravo ovunque, andavo ovunque, saltavo sulla moto e partivo, oggi sono destinato ad aspettare, sempre, l’aiuto altrui. E il tempo è infinito, non passa mai”.
La moto, appunto. Lei non l’ha mai rottamata, è ancora nel suo garage.
“Perché avrei dovuto? La colpa dell’incidente non è della moto, è mia. Avevo bevuto troppo. Ragazzi state attenti, non vi mettete mai alla guida se non siete sobri. In quel periodo lavoravo in Sicilia. Un anno bellissimo, ero sempre in barca con gli amici. Quelli sono i miei ultimi ricordi di libertà. Per questo ritengo che i medici dell’Asur Marche non debbano entrare nelle mie scelte di vita”.
I medici sottolineano di non aver incontrato i suoi genitori.
“Ho quarantaquattro anni, sono lucido, consapevole. Perché coinvolgerli fin da ora in un percorso che li strazierà? Lo sapranno il giorno in cui avrò la certezza di poter morire. So che capiranno, lo hanno compreso quando di recente sono stato malato di Covid. Questa nonè più una vita degna di essere vissuta. Io credo che l’Asur Marche stia boicottando la mia libera scelta”.
Sottofondo di musica rock, la passione di Antonio. Appesa ad un chiodo, sul muro, c’è anche una chitarra.
Antonio, lei suonava ?
La risposta è amara. “Quando potevo usare le mani. L’avevo comprata qualche mese prima dell’incidente, stavo imparando”.
Però la sua vita è ancora di desideri.
“Sono tutte le cose che farò prima di morire. Assaporare la libertà di guidare, da solo, di andare in giro, con la nuova auto che mi consegneranno a breve con i comandi finalmente modificati e giusti per me. Poi il paracadute. Se non avete mai provato a lanciarvi non sapete qual è l’ebbrezza. Adrenalina pura. Con un gruppo in rete sto cercando di costruire l’imbragatura giusta per me”.
Parlava anche di un viaggio alle Canarie.
“Mi hanno detto che lì sono molto attrezzati per i disabili e il volo aereo non è troppo lungo”.
Antonio è sicuro di voler morire?
Sguardo ironico. “Mi aspettavo la sua domanda. Io voglio vivere al meglio ciò che mi resta. Non piangerò davanti a voi, né piangerò sulla mia condizione. Lascio a voi immaginare il dolore che mi devasta. Questi sono i miei ultimi desideri. Dopo le Canarie, se l’Italia mi negherà di poter salutare la vita in casa mia, con i miei fratelli e i miei genitori, farò un altro e ultimo viaggio. In Svizzera, dove il suicidio assistito è legale”.