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Non c’è solo il desiderio di Matteo Salvini di piazzare la bandierina sul Viminale, o la necessità di prevenire un opaco risultato elettorale, dietro la reiterata richiesta del leader della Lega che il centrodestra indichi i ministri prima del voto.
La mossa, si apprende in ambienti parlamentari del Carroccio, è legata alla volontà di costringere Giorgia Meloni a scoprire subito le carte. Perché il sospetto che circola, fra gli ex lumbard, è quello di un pactum sceleris fra la presidente di Fratelli d’Italia e Mario Draghi.
Il quale, nel corso di alcuni contatti (una conversazione telefonica è avvenuta subito dopo l’annuncio delle dimissioni da parte del premier), avrebbe non solo tracciato il difficile scenario socio-economico nel quale il prossimo esecutivo dovrà muoversi. Ma avrebbe pure suggerito, su richiesta dell’interlocutrice, un paio di ministri al di sopra delle parti e di sicura affidabilità che potrebbero dare autorevolezza a un eventuale governo Meloni. Chi? Fabio Panetta, già direttore generale di Bankitalia e membro del board della Bce, e l’attuale responsabile del dicastero per la Transizione ecologica Roberto Cingolani. Queste sono le figure additate dai leghisti. Draghiani che potrebbero infiltrarsi nelle linee “nemiche”.
Draghi, il monito ai partiti: “Nuvole in vista, siate credibili”
di
Serenella Mattera
Da Palazzo Chigi, sia detto subito, la circostanza è smentita con nettezza e bollata alla voce di una “ricostruzione fantasiosa”. Ma nella Lega, specie fra i senatori e i deputati più vicini a Salvini, la sola idea che Meloni voglia dare continuità all’esperienza di Mario Draghi – mai troppo amato (eufemismo) – incute non poche perplessità. Di più, fastidio. Di lì la battaglia a colpi di fioretto che in questi giorni sta animando la scena: Salvini chiede che vengano ufficializzati i nomi dei ministri prima del voto per stanare l’alleata, Meloni fa piccole concessioni ma è pronta a sottolineare che “da che mondo è mondo le squadre di governo si fanno in base al risultato elettorale”.
Ora, al di là dei contenuti riservatissimi della chiacchierata fra Draghi e la leader di FdI, la certezza è che la deputata romana confortata dai sondaggi punta su un governo composto in buona parte da tecnici di qualità, come ammesso dall’amico e consigliere Guido Crosetto. Vuole proporre un governo che sia credibile anche sul piano internazionale, rassicurante per le cancellerie europee preoccupate dal rischio di un ritorno delle Destre in Italia. Il primo passo è stato l’affermazione, nel programma del centrodestra chiamato “Italia domani” (curiosità: lo stesso nome del Pnrr), della collocazione euroatlantica e del fermo impegno a favore dell’Ucraina. Ma poi la realizzazione di questo progetto passa dai volti che lo incarneranno: e i due profili di Cingolani e Panetta corrispondono perfettamente al nuovo corso vagheggiato.
Il primo – fisico, ex dirigente di Leonardo – nel periodo del governo Draghi ha partecipato da “esterno” ad alcuni eventi organizzati da FdI e Lega. Il secondo, Panetta, è in buoni rapporti con la presidente di Fratelli d’Italia. Le cronache recenti hanno narrato di un fitto colloquio fra i due durante la festa di compleanno del deputato centrista Gianfranco Rotondi. Che si sia parlato anche di un incarico di ministro dell’Economia? Entrambi non sarebbero ben disposti di un’avventura al governo: sarebbe un bis per Cingolani, mentre Panetta è tentato da un ruolo di prestigio in Bankitalia. Resta il fatto che Meloni non vuole disperdere l’intero patrimonio di competenza del governo uscente, di cui pure era all’opposizione. Anche perché l’instabilità dei mercati e il caro bollette sono sfide da far tremare i polsi. E la Lega, invece, vuole recidere il filo che ha avvistato e che legherebbe l’esecutivo di unità nazionale alla prossima, auspicata, esperienza di centrodestra. L’eredità di Draghi fa fibrillare anche questo emisfero politico.