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“La trattativa con la mafia ci fu, ma i carabinieri volevano solo fermare le stragi”. Ecco le motivazioni della sentenza che ha assolto Mori

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“Vito Ciancimino fu contattato, prima da De Donno poi anche da Mori personalmente, sì, certamente per acquisire da lui notizie di interesse investigativo, ma, nel contempo, anche con il dichiarato intendimento di tentare di instaurare, attraverso lo stesso Ciancimino, un dialogo con i vertici mafiosi finalizzato a superare la contrapposizione frontale con lo Stato che i detti vertici mafiosi avevano deciso dopo l’esito del maxi processo e che era culminata già, in quel momento, con la gravissima strage di Capaci”. La corte d’appello di Palermo presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, spiega le ragioni che il 23 settembre scorso hanno portato all’assoluzione degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nel processo per la “Trattattiva Stato-mafia”, in primo grado la corte d’assise presieduta da Alfredo Montalto aveva invece condannato gli imputati.

I giudici d’appello confermano che una “trattativa” ci fu, definiscono “un’improvvida iniziativa” quella di contattare l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, ma scrivono che l’unica finalità dei carabineri era quella di fermare le stragi: “Scartata in partenza l’ipotesi di una collusione dei carabinieri con ambienti della criminalità mafiosa; e confutata l’ipotesi che essi abbiano agito per preservare l’incolumità di questo o quell’esponente politico, deve ribadirsi che, nel prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra che creasse le premesse per avviare un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi, e nel sollecitare tale dialogo, furono mossi, piuttosto, da tini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato”.

La sentenza esclude dunque che i carabinieri possano aver fatto promesse di benefici ai mafiosi delle stragi. Scrivono i giudici (gli estensori della sentenza sono il presidente e il giudice a latere): “Eventuali concessioni a favore dei mafiosi, dovevano accompagnarsi alla decapitazione dell’ala stragista, premessa indispensabile per poter giungere ad un accordo con l’ala moderata dell’organizzazione mafiosa, giustamente ritenuta soccombente fino a quando al comando di Cosa Nostra fosse rimasto Salvatore Riina e i capi corleonesi a lui più vicini e fedeli. Una volta decapitata l’ala stragista, con la cattura di Riina e degli altri capi mafia fautori della linea dura di contrapposizione frontale allo Stato – prosegue la sentenza – sarebbe stato pensabile e praticabile un dialogo volto al ripristino di un costume di rapporti effettivamente fondato su una reciproca coabitazione, o almeno sull’abbandono di uno stato di guerra permanente; e un’eventuale proposta di dialogo in tal senso non avrebbe potuto essere interpretata come un segno di debolezza dello Stato – che con la cattura dei capi corleonesi più pericolosi a cominciare ovviamente dal capo di Cosa Nostra avrebbe dato al contrario una grande dimostrazione di forza e della propria capacità di colpire al cuore l’organizzazione mafiosa – e quindi non avrebbe mai potuto corroborare la strategia stragista, rafforzando lo schieramento mafioso che la perseguiva”.

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