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La magia delle Perseidi sfida la tecnologia. Si torna a riveder le stelle

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Prepariamoci ad alzare gli occhi al cielo per tornare a riveder le stelle. Che la notte di San Lorenzo amano stupirci con effetti speciali come la caduta libera. E come ogni anno è già cominciato il countdown in attesa del 10 agosto, quando il blu notturno si accende di mille scie luminose.

Ma i più impazienti cominceranno già da questa sera a scrutare la volta celeste per catturare le prime stelle cadenti. Casomai con l’aiuto delle app come Stellarium e Star Walk. O del supertelescopio Webb che ci fa navigare a vista tra galassie e scogliere spaziali lontane oltre ogni immaginazione. Consentendo al nostro sguardo di bucare la parete dell’infinito e di contemplare le meraviglie del cosmo come se fossero a un tiro di schioppo.

Ma in ogni caso, non basterebbero tutti gli ultrapoteri della tecnologia digitale a eliminare l’aura di magia e di mistero che circonda da sempre questo momento dell’anno in cui le Perseidi, le più glamour tra le stelle, incrociano la terra e cominciano a volteggiare sopra di noi. Anche se in effetti non si tratta di stelle, ma di sciami meteorici provenienti dalla costellazione di Perseo che, a contatto con l’atmosfera terrestre si incendiano e creano scie di luce colorata visibili a occhio nudo. Stelle o non stelle, è dall’alba o, meglio, dalla notte dei tempi che noi umani interroghiamo astri e corpi celesti nella speranza di carpire informazioni sulla nostra vita e previsioni sul futuro che ci attende.

Ecco perché in giorni come il 10 agosto, quando il cielo diventa un immenso candeliere sfolgorante, abbiamo l’impressione che quelle luminarie sberluccicanti abbiano qualcosa di speciale da rivelarci. È come se quella straordinaria polvere di stelle avesse qualcosa di misteriosamente soprannaturale. Che trasforma queste notti agostane in un appuntamento speciale con il destino. Che noi leghiamo al nome di San Lorenzo perché il passaggio delle Perseidi coincide con la festa del santo martire. Che morì arso su una graticola. Secondo la credenza popolare le stelle cadenti sono proprio le faville sprigionate dalle fiamme del rogo. O, secondo altre leggende, le lacrime versate durante il supplizio.

Quelle di cui parla Giovanni Pascoli nella poesia “X Agosto”, dove le lacrime di San Lorenzo, quel “gran pianto che nel concavo cielo sfavilla” annunciano la morte del padre del poeta, ucciso in un agguato proprio il 10 agosto 1867. Nella Romagna di Pascoli questa ricorrenza aveva un profondo significato augurale. La tradizione voleva che tutti, uomini e animali, facessero un tuffo propiziatorio nell’Adriatico per assicurarsi fortuna e salute per tutto l’anno. Si riteneva infatti che quel giorno il mare fosse in amore. E che quello scintillante magnetismo dei cieli e delle acque, quell’esuberanza della natura in stato di grazia esercitassero un influsso positivo su tutti gli esseri viventi. 

Del resto, gli sciami di meteore come le Perseidi, e in generale le comete, sono sempre state considerate dei messaggi celesti, in certi casi sfavorevoli, in altri favorevoli. Ma comunque delle forme di comunicazione degli dèi o delle potenze infernali. Gli indiani d’America ritenevano che l’apparizione delle comete fosse presagio di morte, malattia e carestia. E popoli africani come i Kikuyu e i Masai del Kenya pensavano che meteore, comete e stelle cadenti fossero gli occhi del Creatore lanciati verso la terra per osservare da vicino il comportamento degli uomini. Insomma, dei droni di Dio. 

Ma nemmeno fra i nostri antenati greci e romani quegli sciami di luce godevano di buona stampa. La morte di Giulio Cesare nel 44 avanti Cristo fu preannunciata da una cometa. A voltare pagina è la stella con la coda, la cometa buona che illumina il cammino dei Re Magi verso la grotta di Betlemme. Il resto lo fa la scienza moderna che trasforma i segni celesti in fenomeni naturali. Che contengono preziose informazioni. Ma non misteriose manifestazioni. Insomma, non sono messaggi in codice del soprannaturale.  

Il che domani sera non ci impedirà di cercare luoghi romantici e appartati, lontani dalle luci della città. Dove è più facile cogliere il bagliore fuggitivo di quella stardust (polvere di stelle) che, per dirla con l’omonima canzone di Hoagy Carmichael, resa celebre negli anni Cinquanta dal grande Nat King Cole, ci promette di mettere un po’ di sole nella nostra vita. In fondo in fondo, restiamo figli delle stelle. O almeno lo è il nostro immaginario sempre in cerca di luce. 

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