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“Il 14 agosto di quattro anni fa anche io ero lì, rientrato di corsa dalle ferie. Gli uomini del mio “Primo Gruppo” stavano scavando fra le macerie insieme agli altri soccorritori, hanno tirato fuori cadaveri. Faceva impressione quanto fossimo così piccoli di fronte all’enormità delle macerie e della tragedia. Due giorni dopo la Procura ci ha dato la delega a indagare. Adesso, a inchiesta chiusa e processo iniziato, tutto ha un filo logico. Ma allora ci siamo trovati davanti a una montagna”.
Il colonnello Ivan Bixio oggi è comandante provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Emilia. Ma è l’uomo che, “insieme a compagni formidabili di una squadra arrivata a contare quaranta persone”, ha studiato, interrogato, sequestrato, scavato.
Messo a nudo il sistema distorto dietro a una delle più grandi tragedie della storia italiana: 43 vittime per il crollo di un ponte, il Morandi, definito dai pm “un malato terminale mai curato” dalla concessionaria Autostrade, sotto l’occhio tutt’altro che vigile del ministero delle Infrastrutture. A giudizio ci sono 59 persone, a partire dai vecchi top manager della Aspi targata Benetton, in primis l’ex ad Giovanni Castellucci.
Colonnello Bixio, ha mai tremato?“Abbiamo fatto delle corse contro il tempo, soprattutto all’inizio. Da una parte c’era il rischio che qualcuno tentasse di eliminare eventuali prove, come peraltro in qualche caso è successo (un esempio è una chat fra gli allora numeri due e tre di Aspi Paolo Berti e Michele Donferri, in cui si parlava della corrosione dei tiranti del viadotto, ndr). Dall’altra dovevamo cercare filmati, era la settimana di Ferragosto e le aziende della zona chiuse, quelle telecamere dopo 48-72 ore sovra-registrano. Trovammo diversi video, il più noto, quello della società “Ferrometal”, è l’unico che restituisce il disastro integralmente. Nonostante ciò abbiamo cercato di indagare senza alcun pregiudizio, prendendo in considerazione ogni possibile causa del disastro”.
Il momento più difficile in tre anni di indagini?“Lavorando sul crollo del Morandi abbiamo trovato elementi nuovi sul conto di Autostrade e della società gemella Spea, allora addetta ai controlli. I report sulle condizioni di salute degli altri viadotti a parer nostro ammorbiditi, le barriere anti-rumore pericolose e fuori norma, fino ai problemi delle gallerie dopo il crollo della “Berté” sulla A26. Ci siamo molto preoccupati quando su disposizione della Procura siamo andati letteralmente a chiudere il traffico su due ponti liguri. Io stesso ho viaggiato fino a Roma per sollecitare il ministero a effettuare controlli serrati sulla rete”.
Si è parlato molto della “bestia”, il programma usato anche dall’Fbi. Era davvero necessario?“Prima si andava a fare i sequestri e si tornava con i faldoni. Stavolta avevamo 60 terabyte di dati da studiare. Sono convinto che la nostra indagine possa fare scuola, è stata la prima del suo genere in Europa”.
Ha stretto, non solo lei, un rapporto intenso con i parenti delle vittime.“Soprattutto nell’ultimo periodo, quando l’inchiesta era pressoché fatta. Noi ci sentivamo in dovere di dare una risposta a persone che avevano perso tutto. Da padre mi sono immedesimato in un bambino che cresce senza genitori dopo una simile enormità. Sapevamo che loro si aspettavano fatti, ma solo noi avevamo ben presente i possibili scenari futuri dell’inchiesta. La loro determinazione ci ha aiutato tantissimo così come la stima dei pm, da Francesco Cozzi a Francesco Pinto e Paolo D’Ovidio, fino a Massimo Terrile e Walter Cotugno”.
La holding Atlantia e la famiglia Benetton sono rimaste fuori dall’inchiesta, pur entrando in diverse intercettazioni…“Posto che queste valutazioni sono compito della Procura, in Aspi come in tutte le società c’era una catena di comando che prendeva le decisioni. E noi lì abbiamo lavorato, dai più alti ai più bassi livelli”.
Per la sentenza ci vorranno almeno due anni, ma intanto Aspi ha patteggiato. Che effetto le fa?“Non avrei mai voluto fare una indagine dopo una tragedia del genere, ma sono sollevato che grazie anche al nostro lavoro la sicurezza della rete è migliorata. Era un dovere verso la collettività”.