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Giuseppe Tornatore: “Il mio film da Oscar dal flop all’invito a cena di Garcia Marquez”

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Intraprendere l’avventura covata a lungo. Innescare i desideri e le aspirazioni. Si attende anche per questo l’estate. In quella del 1988, Giuseppe Tornatore era appena trentenne quando si decise a girare Nuovo Cinema Paradiso, la storia a cui teneva di più.

Tornatore, la sera del 7 maggio a Cefalù alloggiava, segno del destino, all’Hotel Paradiso L’indomani avrebbe battuto il primo ciak. Riuscì a dormire?“No. C’era eccitazione mescolata a timore. Aspettai tutta la notte, senza chiudere occhio”.

Vi trasferiste a Palazzo Adriano, un centro tra Palermo e Agrigento. Arrivò in anticipo anche Philip Noiret per imparare a usare il proiettore. Come fu l’intesa con il piccolo Totò Cascio?“Noiret recitava in francese, ma fu molto generoso. Accettò di fare il film, non per mestiere. C’era qualcosa in più che gli dava una grazia particolare. Totò era piccolissimo, difficile dirigerlo. Però appena si riusciva, si capiva. Si avvertiva dalla reazione della troupe”.

Rivedeva il girato?“La pellicola veniva portata in automobile fino a Roma, allo sviluppo e alla stampa. Passavano tre settimane prima che tornasse in Sicilia. Troppo. Mi accordai con il produttore Franco Cristaldi. Lui a Roma guardava i giornalieri. Mi diceva se qualcosa non andava. Ci sentivamo tutte le sere”.

Cristaldi controllava tutto. Durante una di quelle telefonate, un giovedì, le ricordò che il lunedì doveva girare le scene con il protagonista da adulto. Ma l’attore non c’era. Come mai?“Il personaggio lo offrii a molti attori italiani, ma lo rifiutarono tutti. Dicevano, sì è il protagonista, ma si vede solo all’inizio e alla fine. Cristaldi minacciò di bloccare le riprese”.

Così lei suggerì Jacques Perrin. Quando arrivò?“Ci parlai al telefono venerdì. Era entusiasta. Sarebbe arrivato domenica. Vergognandomi, gli chiesi di portare qualche abito. Venne con un baule pieno”.

Quando giunse in Sicilia vi accorgeste che qualcosa non andava.“Erano tutti in sala trucco, il bambino e il ragazzo avevano gli occhi scuri. Perrin,  chiari. Però Perrin mi piaceva e così puntai sulla somiglianza interiore”.

Quando sentì che il film stava venendo come lo aveva immaginato?“Quando girammo le sequenze all’interno del cinema con il pubblico che partecipava a una vita collettiva fatta di gioia, condivisione e emozioni con il fascio di proiezione illuminato dal fumo”.

Sforaste presto con i tempi e Cristaldi, dopo cinque settimane, venne in Sicilia.“Arrivò un sabato sul set. Mi invitò a Villa Igea a Palermo”.

E lei?“Andai. Mi disse cose che mi ferirono. Reagii. Da quel giorno, smettemmo di parlarci”.

Cristaldi tornò a Roma senza pagare la troupe. Lei riprese a girare. Cambiò qualcosa?“Modificai il piano di lavorazione e anticipai le riprese di una sequenza particolare”.

Quale?“Quella in cui nella piazza la proiezione viene deviata sul muro così che gli spettatori, fuori dal cinema, riuscivano a vedere il film”.

Passarono altre due settimane e arrivò luglio. Cosa accadde quando Cristaldi vide quelle scena?“Le persone che erano con lui mi riferirono che ebbe uno scatto. Gli piacque tanto. Firmò gli assegni e pagò la troupe”.

Tra voi il rapporto divenne poi forte. Passò anche agosto. Montò il film in dieci giorni.“Lavoravamo 24 ore su 24. Imbastimmo la prima stesura di montaggio senza rivederla”.

Perché tanta fretta?“Cristaldi voleva vedere come un pubblico affollato, in un festival, avrebbe reagito al film”.

La prima proiezione fu a Bari, all’Europa Cinema, il 29 settembre.“Il film durava due ore e cinquanta minuti e ci fu una reazione entusiastica del pubblico. Il distributore si persuase che il film avrebbe camminato da solo”.

Lei rifinì il montaggio e il film uscì di due ore e mezza. Ma fu un fiasco. Per molti, troppo lungo. Lei tagliò altri venticinque minuti. Il film uscì una seconda volta. Altro fallimento. Cosa provò?“Quel secondo fiasco dimostrò che non era la durata. Ma anche che il pubblico non era disposto a vederlo. Fu un’amara sconfitta”.

Poi il film andò a Cannes. Tutto cambiò. Il film uscì di nuovo e incassò un miliardo di lire. Dopo l’Oscar uscì la quarta volta e fece dieci miliardi. Se potesse rivivere un giorno di quella estate del 1988, quale sarebbe?“Ce ne sarebbero tanti. Quando Noiret girò la sua ultima inquadratura. O il primo ciak. O la prima volta che a Cristaldi mostrai il film mixato alla Fonoroma”.

Ciò che per lei fu Nuovo Cinema Paradiso, somiglia molto a ciò che fu Cent’anni di solitudine per Gabriel Garcia Marquez. Per entrambi, la storia totalizzante pensata per oltre dieci anni e raccontata solo quando vi sentiste capaci. Per entrambi, fu la consacrazione globale.“Non so. Però le racconto una cosa. Subito dopo l’Oscar, da Cecchi Gori, con cui ero d’accordo per il film seguente, arrivò un fax speciale per me. Era un fax di Gabriel Garcia Marquez”.

Cosa c’era scritto?“Cito a memoria: Caro Giuseppe, Nuovo Cinema Paradiso è il film che io avrei voluto fare se fossi riuscito a diventare regista. Se un giorno dovessi passare da Città del Messico, sappi che a casa mia si fanno degli ottimi spaghetti al pomodoro. Vienimi a trovare quando vuoi”.

Quanto aspettò per andare a assaggiare quegli spaghetti?“Pochissimo. Partii nell’estate del ’90. In Italia c’erano i mondiali. Ricordo che alcuni incontri della nazionale li vidi in tv, a casa di Gabriel Garcia Marquez. Era lo scrittore che amavo. Fu un momento speciale. Uno dei momenti di euforia e gratitudine che mi ha regalato il mestiere”.

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