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“Come sta la Silvia?”, chiedeva la mamma di Michele Apicella/Nanni Moretti in Ecce Bombo. “Silvia, non la Silvia! – rispondeva stizzito lui – Mamma, fortunatamente siamo a Roma, non a Milano: la Silvia, il Giorgio, il Pannella, il Giovanni…”, e così via. Duello cittadino a parte, anche oggi l’Accademia della Crusca risponde più o meno così: che anteporre l’articolo al nome proprio è certo tipico di un lessico familiare di alcune regioni italiane ma se si vuol trovare un norma nell’italiano standard allora ha ragione il romano Moretti.
La lingua però, spiega il presidente Claudio Marazzini, è piena di zone grigie e non sempre si può distinguere il bianco dal nero, la norma si adatta all’uso o si modifica col tempo, risente delle influenze estere o nasce di fretta sotto la spinta di scoperte e novità. Ecco perché l’ultimo volume della Crusca edito da Mondadori, che raccoglie il meglio dei dubbi dei lettori e le risposte degli accademici, si chiama “Giusto, sbagliato, dipende”. Una guida grammaticale organizzata come un vocabolario, a ogni lettera un argomento: A come articoli, B come burocratese, F per femminile, S di salute, Q come quello per cui non abbiamo (ancora) le parole, come i genitori rimasti senza figli o il nome dei figli dei partner.
“Ogni giorno – racconta il professor Paolo D’Achille, vicepresidente dell’Accademia e curatore del volume – rispondiamo a una trentina di domande che ci arrivano via mail, lettera, dal sito, sui social. Vengono da tutt’Italia, dall’estero, da studenti, impiegati, giornalisti, traduttori, medici. Poi ci sono i social, su cui spuntano quotidianamente decine di nuovi quesiti che alimentano un dibattito anche acceso, segno che la lingua coinvolge e appassiona ancora”.
I dubbi della Crusca e di tutti noi. “Come si dice….?”
di Stefano Bartezzaghi
Ci sono le domande intramontabili: “A me mi piace è lecito?”, “ma però si può dire”, “meglio se stesso o sé stesso”, come avrebbe voluto il linguista Luca Serianni?. Oppure i dubbi sulla formazione dei plurali di “fondovalle”, “pronto soccorso”, “capotreno”. I verbi ausiliari, i transitivi e gli intransitivi: “Se “vivere un’esperienza” non ci stupisce – spiega D’Achille – “Vivere la città” ancora ci sorprende”.
E poi ci sono le novità: “Un’impennata l’ha avuta la curiosità attorno ai termini medici per via della pandemia: nomi di malattie e farmaci o domande sulla mutazione del significato di “tamponare”, da un incidente stradale a un test Covid”. Allo stesso modo sono cresciuti pure i dubbi attorno alle forme femminili di nomi e aggettivi: “Ci chiedono: “Si dice medica o medichessa?”, “Falegname ha un equivalente?”, “Proboviro, che contiene la parola latina maschile vir, può avere un femminile?”, spiega il professore. O, ancora, i neologismi: “La singletudine esiste?”, “Meglio appuntamentare o dare un appuntamento?”-
E se su alcune regole la Crusca è pronta a dialogare, su altre fa le barricate: “”Qual è” si scrive sempre senza apostrofo – dice D’Achille – E non saremo certo noi a fare una riforma ortografica come molti lettori ci chiedono”. Eppure, almeno una volta, quei lettori l’hanno avuta vinta: “Il nostro pubblico – racconta l’accademico – non tollerava il burocratese “controllerìa”, per indicare il servizio di verifica dei biglietti. Lo abbiamo fatto notare, le ferrovie lo hanno tolto dai loro annunci e la parola è sparita”.