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E’ successo in Umbria, ma anche in Emilia Romagna, in Veneto. Ed è il nuovo, ultimo e dolorosissimo attacco contro la libertà di scelta delle donne. Il tentativo, ancora, di rendere difficile, se non impossibile, l’aborto legale. Accade, sempre più spesso, che alle pazienti in attesa di una interruzione volontaria di gravidanza, farmacologica o chirurgica, venga chiesto di aspettare fino a che non si senta con chiarezza il cuore del feto che batte. Con l’intento di essere sicuri che quella gravidanza sia “evolutiva”, non ci sia cioè un aborto spontaneo già in atto. Perché? E’ necessario?
Ginecologhe non obiettrici famose come Marina Toschi, Lisa Canitano o Silvana Agatone dicono no, da un punto di vista scientifico non ce n’è alcuna necessità. E allora? Quell’obbligare le pazienti a tornare due, tre, quattro volte, come sembra sia successo nelle ultime settimane in un ospedale umbro, non sarà semplicemente una tortura nei confronti delle donne, nella speranza, chissà, di dissuaderle dalla loro scelta, dopo aver sentito con l’audio dell’ecografo quel “tum tum” del cuore che nelle situazioni di gravidanze volute è invece fonte di gioia?
La punizione per le donne ungheresi
Nell’Ungheria di Orban dove l’aborto è ormai ritenuto un crimine, le donne sono obbligate a sentire il cuore del feto, perché soffrano ancora di più quando abortiscono. Una tortura. E qualcosa di simile (simile, non uguale, attenzione) sembra si stia verificando anche in Italia. Così hanno denunciato Elisabetta Piccolotti ed Eleonora Evi di Sinistra Italiana: “Abbiamo delle segnalazioni che in Umbria stia già accadendo quanto accade nell’Ungheria di Orban. E cioè che le donne che chiedono l’interruzione di gravidanza siano costrette ad ascoltare il battito del feto. Questa è una gravissima forma di pressione psicologica tesa a ingenerare sensi di colpa, chiediamo al ministero della Salute di mandare gli ispettori per verificare se queste pressioni siano vere”. Una denuncia pesantissima che il ministro della Salute Speranza dovrà verificare, “se ci sono gli elementi valuterò un’ispezione”, ma di nuovo fa alzare l’allarme per la difesa della legge 194, che com’è noto la Destra ha deciso di erodere seppure non frontalmente.
La smentita dell’Umbria
Intanto però dall’Umbria arriva la smentita alla denuncia delle esponenti di Sinistra Italiana. “In nessuna Azienda sanitaria o ospedaliera della Regione Umbria, risulta che le donne che chiedono l’interruzione di gravidanza siano costrette ad ascoltare il battito del feto” afferma l’Assessorato regionale alla Salute. “Trattandosi di una denuncia grave di un fatto che lede fortemente i diritti delle donne e tocca una tematica delicata come quella dell’interruzione della gravidanza – dice in una nota -, sarebbe opportuno che coloro che hanno portato all’attenzione questa gravi fatti, li circostanziassero in modo da permettere alle autorità sanitarie di procedere con le opportune verifiche. In caso contrario, ribadendo che anche dal riscontro chiesto tempestivamente oggi alle Aziende, non risultano in Umbria fatti del genere, la Regione si vedrà costretta a dover tutelare nelle sedi opportune tutti i professionisti e gli operatori che lavorano con professionalità e correttezza, nel sistema sanitario regionale”. Nel 2020 in Umbria sono state effettuate 829 interruzioni volontarie della gravidanza e 862 l’anno successivo.
Saranno allora, forse, gli ispettori di Speranza ad accertare cosa è realmente accaduto. Ci sono stati però in precedenza casi analoghi. Dove le donne non sono state costrette ad ascoltare il battito del feto, chiariamolo subito. Ma con una prassi non consueta sono state costrette a tornare per effettuare l’aborto, soltanto quando il medico avesse rilevato il battito del feto. Per fare un esempio: l’aborto farmacologico si può fare a partire dalla quinta settimana, ma il battito si percepisce dalla settima settimana di gestazione: perché non effettuarlo prima, perché aspettare rendendolo così più doloroso?
Una tecnica inutile
Lisa Canitano, ginecologa da sempre in prima linea nella difesa della legge 194, fondatrice dell’associazione Vita di donna, dice di aver ricevuto più di una segnalazione. “Ad Arzignano e a Padova, in Veneto, le donne hanno raccontato che per iniziare il processo di interruzione volontaria di gravidanza, è stato richiesto loro di presentarsi con un’ecografia dalla quale si potesse evincere il battito cardiaco. Perché? Ho fatto aborti tutta la vita e so che non c’è alcun motivo scientifico dietro questa richiesta. E’ una pura e semplice cattiveria nei confronti delle donne, per rendere la loro scelta più difficile”. In realtà una risposta Canitano l’ha ricevuta dall’ufficio stampa della Ausl Romagna, dove ad una donna di Rimini era stata fatta la stessa richiesta. Lisa Canitano, candidata di Unione Popolare, ha pubblicato il documento sulla sua pagina Facebook. “In quella lettera si dice che una interruzione volontaria di gravidanza può avere un impatto psicologicamente diverso rispetto ad un aborto spontaneo. E quindi senza curarsi del dolore della paziente, in attesa di capire se il feto è vivo o morto, si fa tornare e ritornare la donna, quando quell’aborto potrebbe essere eseguito subito. Mi aspetto che ciò possa accadere in una regione leghista come il Veneto, non in Emilia Romagna”. Marina Toschi, ginecologa umbra della Pro-Choice, rilancia: “La necessità di sentire il battito cardiaco prima di un aborto non è scritto in nessun protocollo, né raccomandato dall’Oms, tantomeno dalle nostre società scientifiche. E’ un abuso sui corpi delle donne”.
Barricate per difendere la legge 194
Il crinale è sottile, ma la linea di confine stretta. E’ naturale che laddove questo accade o è accaduto i medici potranno fornire spiegazioni tecniche o scientifiche. Lo stesso ministro Speranza definisce “l’ascolto del battito del feto prima dell’aborto uno scenario totalmente irricevibile, fuori dalla norma vigente che tutti dobbiamo rispettare”. “C’è una legge, la 194 che noi difenderemo con tutte le energie di cui disponiamo Se c’è qualche forza politica che pensa di cambiarla, dovrà confrontarsi con il consenso delle persone che su questo tema, in modo chiaro, si sono già espresse e noi difenderemo questa legge e la sua applicazione”.
Per Emma Bonino “occorre resistere e lottare perché la Legge 194 venga realmente applicata, permettendo a chi vuole abortire di poterlo fare nella propria regione”. E Anna Rossomando vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia e diritti del Pd: “Il decreto dell’alleato di Salvini e Meloni, Orban, che obbliga le madri ad ascoltare il battito cardiaco del feto prima di interrompere la gravidanza, riporta le lancette di questi diritti indietro di secoli. In Italia non permetteremo niente del genere”