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Alluvione nelle Marche, a Cantiano che ha perso anche l’anagrafe: “Abbandonati, ci vuole l’esercito”

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Cantiano (Pesaro-Urbino) – Non c’è più il panificio, il pub, l’osteria, la vineria, il negozio d’abbigliamento e il fioraio. La chiesa collegiata di San Giovanni Battista è un guscio vuoto, così come tutti i piani bassi delle case. Hanno anche perso l’anagrafe, l’archivio storico e la banca. Non hanno più nulla a Cantiano, borgo dell’appennino ai confini con l’Umbria. Ma continuano a lottare strappando al fango ogni centimetro che s’è preso giovedì sera. Combattono perché, per dirla con le parole del sindaco Alessandro Piccini, «bisogna farlo se si vuole che il paese abbia un futuro».

Quattro giorni dopo la bomba d’acqua che ha fatto straripare tre fiumi (Burano, Bevano e Tenetra) il piccolo centro è ancora invaso dai detriti. Lungo le strade i volontari vanno di fretta con le pale in mano. C’è la Protezioni civile con uomini e mezzi, ma soprattutto ci sono loro, i ragazzi arrivati dai comuni vicini e persino dall’Umbria. Giovani come Andrea e Francesca, di Fossombrone: «Veniamo tutte le mattine in motorino, diamo una mano e poi torniamo a casa». Singoli, in coppia o in gruppo, ne arrivano più di duecento al giorno, e sono indispensabili. Tirano fuori i mobili marci dalle case, liberano dal fango le cantine. Trascinano frigoriferi, panche e divani per accatastarli dove passano a caricarli i camion. Un paio di bar e ristoranti del paese hanno aperto le cucine per far loro da mangiare o distribuire bottiglie d’acqua: «Se lo meritano, ci mettono l’anima e noi facciamo quel che è possibile», dice una signora davanti al bar Brolio.

La piena ha distrutto la chiesa di Sant’Agostino, un gioiello del 1200. Più avanti stanno svuotando quella di San Giovanni Battista, del 1600. Si sono salvati solo i quadri e gli affreschi in alto, tutto il resto è irrecuperabile. Antonio e il figlio di 13 anni camminano trascinando i badili: «Tutti devono fare qualcosa». Una ragazza riprende fiato seduta su un gradino, si guarda intorno affranta: «Non si finisce mai, ma va bene così, almeno non abbiamo avuto morti». «Lassù qualcuno ci ha protetto», dicono i parrocchiani che caricano il fango su un bobcat fermo accanto all’altare.

Il disastro di Cantiano fa il paio con la situazione che c’è fuori paese. La frazione di Pian di Balbano è ancora isolata, strade e ponti sono stati spazzati via dall’onda. Per raggiungere le 50 persone che ci abitano bisogna attraversare il fiume. Ad altre frazioni si può arrivare solo dagli sterrati o attraverso i campi.

Per Piccini l’unico modo per ricollegare il territorio è chiamare l’esercito. «Noi non abbiamo gli strumenti, non c’è altra possibilità se non l’intervento dei militari», spiega. Anche l’area industriale è in ginocchio: capannoni invasi dal fango e attrezzature da buttare. Da queste parti si teme soprattutto per il lavoro, che poi significa il futuro di tutti. Il Comune ha lanciato una raccolta fondi. Per il sindaco è indispensabile mettere assieme risorse: «Non possiamo aspettare la burocrazia, se non riapriamo le attività commerciali e le piccole aziende la gente sarà costretta ad andare via per poter vivere, questo significa la desertificazione per Cantiano e non possiamo consentirlo».

Capitolo a parte è quello dei soccorsi. Nelle prime 36 ore non s’è visto nessuno, ma ancora adesso la macchina non gira a pieno regime. Ieri mattina è arrivata una colonna di mezzi pesanti per rimuovere il fango, poche ore dopo è ripartita per un’altra destinazione. Forse per raggiungere Serra Sant’Abbondio o a Frontone, altri comuni distrutti dell’appennino: «Il problema è che così non li usa nessuno e continuano a girare a vuoto — dice Piccini — l’ho detto alla prefettura che se non c’è coordinamento è solo una perdita di tempo».

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