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Scambiate in culla vent’anni fa, un milione di euro per quelle vite mai vissute: “Forse in ospedale qualcuno sapeva ma ha taciuto”

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Mezzo milione di euro per la vita che non ha mai vissuto. Tanto spetterà alla 33enne pugliese Antonella Z., se diventerà esecutiva la sentenza con cui il Tribunale civile di Trani ha condannato la Regione Puglia a risarcire per un totale di un milione la giovane donna – vittima di uno scambio di culla nel 1989 – e la sua vera famiglia. Una storia che sembra la trama di un film e invece è scritta negli atti giudiziari di due processi civili intentati dalle due donne scambiate da neonate contro l’ospedale di Canosa. È lì che il 22 giugno di 33 anni fa avvenne l’errore: due gestanti ricoverate a distanza di mezz’ora, le figlie nate dopo il parto cesareo a venti minuti l’una dall’altra. Una si chiamava Antonella, l’altra Lorena: erano figlie di Caterina e Loreta ma quando le loro madri uscirono dall’ospedale portavano in braccio l’una la bimba dell’altra. Antonella finì a casa di Loreta, Lorena da Caterina, dove hanno vissuto per 23 anni senza sospettare nulla.

Il dubbio iniziò a serpeggiare nel 2012, quando Caterina vide su Facebook una foto dell’altra ragazza e ne notò la somiglianza con la sua famiglia, senza sospettare che fosse sua figlia. O almeno così raccontano gli atti giudiziari, nei quali è stata sposata una versione che non ha mai convinto la Regione – nel frattempo chiamata in causa per risarcire i danni delle vite mai vissute – secondo cui era improbabile che le famiglie fossero entrate in possesso di una foto che ritraeva persone estranee e da lì fosse iniziata la trafila per capire chi fosse figlia di chi. Di certo c’è che nel 2013 il test del dna consacrò una verità difficile da smentire: Antonella era compatibile al 99,99% con Caterina e suo marito, per 24 anni aveva vissuto la vita di un’altra persona.

Due anni dopo, sia la giovane donna che i suoi veri genitori e il fratello hanno iniziato la battaglia giudiziaria, tramite gli avvocati Salvatore Pasquadibisceglie e Cecilia Tedone, presentando una richiesta di risarcimento da quasi 10 milioni al tribunale di Trani, mentre Lorena ha avviato un’altra causa da 5 milioni davanti ai giudici di Bari. Quest’ultima è ancora in corso, mentre la prima si è conclusa ad agosto con la pubblicazione di una sentenza che, se non appellata entro pochi giorni dalla Regione, potrebbe diventare definitiva. Nel corso del processo è emersa “la condotta gravemente colposa dei sanitari, che ha compromesso sul nascere la relazione tra genitori e figlia e tra i due fratelli”. Per questo è stato disposto di risarcire, come “danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale”, 516mila euro ad Antonella, 215mila ciascuno ai veri genitori e 81mila al fratello.

La sentenza mette un punto fermo ad una storia che ha dell’incredibile ma non chiarisce cosa sia accaduto. La vicenda processuale civile, del resto, non è mai andata di pari passo con un’inchiesta penale, nonostante negli anni a Canosa più d’uno abbia sussurrato che qualche dipendente dell’ospedale cittadino, una volta andato in pensione, avesse rivelato l’avvenuto scambio a qualcuno. Questo significherebbe che l’errore è stato scoperto dai sanitari ma che nessuno ha fatto nulla per porvi rimedio, lasciando che le vite delle due famiglie scorressero nell’incoscienza. Anche la Regione Puglia, nel tentativo di evitare il risarcimento, ha cercato di giocare la carta di una verità che Caterina e suo marito avrebbero saputo ben prima del 2013, per puntare alla prescrizione. Ma loro hanno sempre negato ostinatamente e alla fine la giudice Roberta Picardi gli ha dato ragione: è certo che la scoperta dello scambio sia avvenuta nove anni fa e che “da lì siano iniziate le sofferenze che hanno determinato lo sconvolgimento delle loro vite”. 

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