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NEW YORK. A un certo punto della sera, in sala stampa spunta Henry Kissinger. Novantanove anni, seduto su una sedia a rotelle, ascolta dallo schermo gli interventi dell’Annual Awards Dinner che precedono al premiazione di Mario Draghi con il World Statesman Award, organizzata dal rabbino Arthur Schneier. Poi l’ex segretario di Stato prende la parola in sala e plaude al premier italiano, “credibile” grazie alla “sua visione e leadership”, oltre che per la sua “capacità di analisi e il suo coraggio”. E lo ringrazia per quello che ha fatto, per quello che continuerà a fare. Quindi prende la parola il presidente del Consiglio. E ribadisce che la guerra in Ucraina finirà soltanto quando la Russia rinuncerà ad aggredire il suo vicino e lascerà il Paese invaso.
La premessa del ragionamento, a dire il vero, non è scontata. “Nonostante le tristezze dei tempi, sono ottimista sul futuro”, dice Draghi. “Noi dobbiamo restare uniti nel sostenere Kiev e respingere i tentativi di chi vuole dividerci”. L’Occidente deve fare la sua parte, ma una pace è possibile solo con un cambio di rotta di Mosca. “Spero che decida di tornare allo spirito dell’Onu che sottoscrisse nel 1945”. E d’altra parte, domani sera il capo dell’esecutivo prenderà la parola proprio davanti all’Assemblea generale, ribadendo ancora una volta quale sia il contendente con cui si schiera Roma. “L’eroismo dell’Ucraina, del presidente Zelensky e del suo popolo è un monito potente che ci ricorda per cosa lottiamo e cosa possiamo perdere”.
Certo, favorire multilateralismo e dialogo è necessario. “Dobbiamo fare tutto il possibile per favorire un accordo quando finalmente sarà possibile”, anche perché “la richiesta collettiva di pace continua. Ma solo l’Ucraina può decidere quale pace è accettabile”. Nessuna resa, insomma, nessun compromesso che non sia prima accettato da Kiev. E d’altra parte, è in gioco anche il senso delle democrazie nel nuovo secolo. “L’invasione russa dell’Ucraina – ricorda il capo dell’esecutivo – rischia di inaugurare una nuova era di polarizzazione, un’era che non abbiamo visto dalla fine della guerra fredda. La questione di come trattiamo con le autocrazie definirà la nostra capacità di plasmare il futuro comune per molti anni a venire”.
I complimenti di Kissinger non sono gli unici. Si segnalano soprattutto quelli arrivati direttamente da Joe Biden. “Mi congratulo con il mio amico, primo ministro Mario Draghi, per il suo lavoro nel far progredire i diritti umani nel pianeta. Draghi è stato una voce potente nel promuovere la tolleranza e la giustizia e lo ringrazio per la sua leadership”. E anche il presidente e ceo di Blackstone Group, Stephen Schwarzman, assicura che Draghi “ha ispirato una rinnovata fiducia globale nell’Italia”.
In sala è presente anche il segretario di stato Vaticano Pietro Parolin. L’eco della campagna elettorale italiana è lontana, certo. Ma nel giorno in cui Matteo Salvini si produce in un inedito “io ho le palle piene dei migranti”, Parolin auspica che “i toni della campagna elettoralesi smorzino” e che “si metta al primo posto il bene del Paese”.