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Aborto, una scelta politica: in Piemonte le prove generali del prossimo governo Meloni

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Su Rai 3 ieri pomeriggio la puntata di Passato e Presente di Paolo Mieli (si recupera su RaiPlay) racconta proprio della battaglia per l’aborto legale di Adele Faccio, e sarebbe bello se tante giovani e meno giovani attiviste ne studiassero le azioni e le intenzioni per capire come fossero diversi i tempi degli arresti per un aborto dalle polemiche su Instagram. Non può essere un caso la scelta di ricordare chi è stata Adele Faccio ora. Il governo Meloni non è ancora nato, ma ciò su cui concordano tutti quelli che hanno un po’ di realismo è che c’è un ambito su cui il centrodestra potrà intervenire senza danni economici – che sono quelli che non ci si può permettere adesso – ma anzi galvanizzando gli elettori. Esatto, i temi etici e dei diritti civili: e se anche il fondamental-leghista Simone Pillon non è stato eletto, può stare tranquillo che i suoi colleghi di Fratelli d’Italia non saranno da meno. E qui dove era tutto un gender, promettono ordine e disciplina.

Promettono, soprattutto, di voler aiutare le donne: ma dai? “Iniqua legge 194”, così definisce la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza Francesca Romana Poleggi, membro del direttivo di Pro vita & famiglia, che infatti si rivolge al nuovo governo, chiedendo che “prenda a cuore in modo serio e concreto la lotta alla denatalità che affligge il nostro paese, soprattutto offrendo un adeguato sostegno a tutte le famiglie e alle donne, in particolare quando si trovano ad affrontare, spesso isolate e abbandonate, una gravidanza imprevista o indesiderata. Soltanto in questo modo si tutelano tutti i diritti, sia delle donne che dei nascituri e si può comprendere come l’aborto non sia mai una soluzione: è l’uccisione di un figlio innocente che porta conseguenze tragiche per le madri, per le famiglie coinvolte e per tutta a società”. Eccoci qui, i diritti della donna e del nascituro messi sullo stesso piano, che in realtà vuol dire messi in antitesi, lotta alla denatalità che non passa per politiche attive per la famiglia ma per l’opera di convincimento delle donne a non abortire. Come se poi, tra obiettori e regioni che fanno la guerra alla Ru486, non fosse già tutt’altro che semplice.

I soldi servono, certo: ma che l’obiettivo finale sia lo smantellamento di una legge che andrebbe invece migliorata e aggiornata come la 194 è innegabile. Le prove generali sono in Piemonte, con la legge – manca solo il via libera della giunta – che ha come nome “Vita Nascente” e che destina 460mila euro all’anno ad associazioni Pro Vita che si accrediteranno e che, a loro volta, sosterranno le spese economiche delle donne, cercando di intercettarle in consultori e strutture sanitarie, per offrire loro un aiuto economico che le convinca a rinunciare all’aborto e portare avanti la gravidanza: bollette, rate del mutuo, affitto, abbigliamento, farmaci, pappe e latte in polvere, pannolini, culle fino ai 18 mesi di vita del bambino. E se una donna decide di non abortire ma non vuole tenere il bambino avrà comunque un sostegno economico per due mesi dopo il parto.

Non è secondario quel passaggio sul fatto che per avvicinare le donne che stanno decidendo se abortire le associazioni potranno farlo anche nei consultori e nelle strutture sanitarie: perché già lo scorso anno FdI aveva iniziato l’opera di inserimento dei movimenti pro-life nelle Asl, per preparare il terreno. Parallelamente, ha portato avanti quella che sta diventando una battaglia comune nelle regioni governate dal centrodestra, con l’opposizione alla somministrazione della Ru486 nei consultori, che non è però prerogativa del centrodestra appunto, visto che nella maggior parte delle regioni italiane questa possibilità, stabilita dalla legge, non è ancora contemplata. Nei giorni scorsi l’Agenzia italiana del farmaco, l’Aifa, ha prodotto una nuova determina per allineare il protocollo in Italia sull’aborto farmacologico fino ai 63 giorni alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, inserendo nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del servizio sanitario nazionale “la combinazione di 200 mg di mifepristone orale seguiti, a distanza di 36-48 ore, da 800 µg di misoprostolo, da assumere per via orale, sublinguale o vaginale”. Spiega sul suo sito l’Istituto superiore di sanità che questo “risolve il problema dell’uso off label del misoprostolo che può essere somministrato anche presso le strutture non ospedaliere con le stesse modalità già previste per il mifepristone, facilita l’offerta dell’IVG farmacologica e, indirettamente, aiuta a contenere le criticità legate al fenomeno dell’obiezione di coscienza. Inoltre, grazie alla riduzione degli interventi chirurgici e delle pratiche anestesiologiche, favorisce un miglior uso delle risorse del servizio sanitario nazionale”.

Buone notizie, poi magari qualcuno si preoccuperà di renderle pratica. Anche per evitare quello che sta succedendo nell’ospedale di Savona, con le donne che scelgono di abortire che – dalla pandemia in poi – devono condividere reparto e corridoi con le donne che hanno appena partorito e quindi con i bambini appena nati, tanto per rendere tutto più facile.

Sulla scelta del Piemonte la deputata Pd Chiara Gribaudo ha detto: “È molto grave che le donne vengano intercettate, e quindi ostacolate, quando si rivolgono ai consultori e alle strutture sanitarie per esercitare un diritto sancito per legge. Per sostenere la maternità servono welfare, asili e aiuti per conciliare figli e lavoro, non soldi alle associazioni Pro Vita negoziati sul corpo delle donne”. Giusto deputata Gribaudo: ma ricordiamo che finora al governo c’era anche il Pd, e tutte queste politiche di conciliazione, condivisione, superamento del gender gap non è che abbiano portato a tanto.

Guardiamo appena fuori da casa nostra. A San Marino il 7 settembre il Consiglio grande e generale ha approvato con 32 voti a favore, 7 contrari e 10 astenuti la legge che regolamenta – che rende per la prima volta legale, in realtà – l’interruzione volontaria di gravidanza grazie al referendum delle coraggiose donne dell’Uds. La legge ora prevede che i sanitari obiettori di coscienza comunichino la loro posizione entro il 12 ottobre – quindi entro ieri – in forma scritta all’istituto per la sicurezza sociale e all’authority sanitaria. Per chi verrà assunto da ora in poi, il tempo per comunicare la decisione di non praticare IVG scende a 15 giorni. Una regola di buon senso, no? E invece le associazioni pro life protestano: “Viviamo in un’epoca di paradossi: da un lato la società ed il diritto sono compulsivamente spinte verso l’utopia delle infinite libertà, dall’altro il legislatore, nel cercare di favorire una ulteriore libertà, può spingere nella direzione di limitarne un’altra: la libertà di coscienza del singolo”.

Guardiamo un po’ più lontano. Mentre in 15 Stati degli Usa sono già 66 le cliniche che non praticano più interruzioni di gravidanza (e 26 hanno proprio chiuso) dopo la decisione della Corte Suprema di capovolgere la Roe v. Wade, in Arizona la Corte d’appello ha bloccato la legge appena varata che vieta quasi totalmente l’aborto, imponendo un massimo di 15 settimane per un’interruzione di gravidanza. E un’altra corte, in Ohio, ha bloccato il divieto di aborto dopo sei settimane fino a quando non ci sarà chiarezza sui ricorsi presentati contro la legge stessa, riportando così il tempo limite per l’interruzione di gravidanza a 22 settimane.

“Lotterò fino all’ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri oppure no. La contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne, una scelta politica”: lo ha detto Annie Ernaux, Nobel per la Letteratura, subito dopo l’annuncio del Premio.

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