[ Leggi dalla fonte originale]
Mai, neanche per un momento, Liliana Segre si è lasciata sedurre dai troppi applausi, quasi presentisse che quegli uomini plaudenti, frequentando il sottosuolo, stavano per farsi complici, amici trasversali, risorse nascoste del “patriota” di Giorgia Meloni. E infatti Ignazio La Russa è stato eletto solo grazie a loro: non franchi tiratori, ma franchi soccorritori dell’opposizione, 17 pirati di sinistra.
Ecco, applaudivano Segre e intanto in una zona franca e nascosta, come nella stanza dei drappieri di Rembrandt, i selvaggi delle connivenze, i professionisti del franchising destra-sinistra, promuovevano quel La Russa che a sinistra stanno tutti lì a sfottere, non solo in privato, e a scrutarlo come fosse ancora un fascio, sia pure pittoresco, di quelli che, per ragioni di famiglia, il braccio può scattargli ancora in aria mentre fa ciao con la manina.
Eppure Liliana Segre aveva trasformato un discorso di circostanza in un manifesto di resistenza, regalando alla sinistra il tono mite e le parole severe che da sola ormai non trova più, sulla Costituzione innanzitutto che “come dice Piero Calamandrei, non è un pezzo di carta, ma il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943, ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti”. E “sarebbe stato meglio spendere, per attuarla, le energie che avete invece speso per cambiarla, con risultati peraltro assai modesti”.
La Russa presidente col soccorso “rosso”. E la destra si spacca
di Stefano Cappellini
Certo è alla destra che Segre mandava questi chiari e precisi avvertimenti, sia pure inutilmente visto che, di fronte a lei e allo scranno della presidenza, stava seduto sornione Marcello Pera, un’altra delle tante facce antiche di quest’epoca nuova, il filosofo che ha avuto l’incarico ufficiale di cambiarla davvero, la Costituzione, da Giorgia Meloni, la quale lo ha promesso urlandolo dal palco di Piazza del Popolo: “La cambieremo anche da soli”.
Ma è pure la sinistra che Liliana Segre cercava di educare “alla civiltà del dibattito pubblico” e alla dialettica del confronto, ma di nuovo inutilmente, visto che proprio dai franchi soccorritori della sinistra La Russa è stato poi resuscitato mentre dai franchi tiratori di Forza Italia è stato impallinato e Berlusconi gli ha pure detto “vaffanculo” sbattendo la matita sul tavolo. Perciò non è facile distinguere e individuare gli eroi della normalità della democrazia dai briganti dell’odio di cui Segre faceva il doppio identikit mentre sotto di lei non l’inciucio si preparava, ma la prova generale di un nuovo stile di governo e di opposizione dove il maligno non ha tessera né casacca.
Eroi a destra e briganti a sinistra? Molto più probabilmente diventa definitivo nell’era Meloni il trasferimento nella politica di destra di un’antropologia che in Italia conosciamo bene e che va da Fabrizio Corona a Flavio Briatore, “la magnifica canaglia”, il maudit nella versione italiana, che sarebbe poi l’eterno figlio di puttana. Mentre a sinistra è tutto un pissi pissi sul genio di Renzi per lo sberleffo, e su Franceschini malcelato bucaniere che fa incursioni, assalta le navi e poi, al sicuro, si gode il bottino nell’ombra dei suoi malfamati e imprendibili rifugi.
Senza alcuna intenzione beffarda, La Russa, appena eletto, li ha con orgoglio ringraziati tutti: “Sia quelli che (di nascosto, ndr) non mi hanno votato e sia quelli che (di nascosto, ndr) mi hanno votato”. E ringraziandoli ne ha assunto la natura corsara, che è la sostanza imprevedibile della simpatia che gli certificò Fiorello facendo di lui il fascista primordiale ossessionato dalla virilità, “righignato” e con le narici larghe, la barbetta sotto il mento, le ciglia aspre come setole, gli occhi come due palle di fuoco e la famosa voce, che è – “digiamolo” – fascismo rasposo e buonumore rauco.
“I più lenti a votare hanno tradito”. Al Var del Senato sospetti su Iv, Pd e 5S
di Matteo Pucciarelli, Giovanna Vitale
E valeva il doppio registro dell’elegantissima Segre, in velluto nero sostenuto da una spilla d’argento a forma di ramoscello della pace, anche per il 25 Aprile che, ha detto con il tono fermo del più dolce sussurro, “parla al presente perché resistere è necessario”. E valeva per il primo maggio e soprattutto per l’anniversario della marcia su Roma, il 28 ottobre con “quel senso di vertigine” della bambina che “in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco della scuola elementare, e oggi si trova, per uno strano destino, addirittura sul banco più prestigioso del Senato”.
Ma niente pistolotti sulla vigilanza democratica e sull’antifascismo urlato e di maniera, neppure davanti alla panza che Claudio Durigon portava avanti e indietro. È il fascio-leghista del parco intitolato a Latina ad Arnaldo Mussolini, un omone che in questo manicomio del postfascismo non si è fatto liberale, manco gollista e meno che mai democratico, e magari sarà solo apparenza, ma sembra, paro paro, uno squadrista di Farinacci.
Vanno tutti i matti per i blitz gli anziani rampolli delle vecchie famiglie missine che ieri nell’emiciclo del Senato trionfavano felici e vincenti, non solo La Russa, ma anche la signora Rauti, e poi Sergio Rastrelli che è uguale uguale al padre Antonio, il signorile senatore che amava i paesaggi della sua bella Napoli e dunque era “camera…ta con vista”, e poi Gasparri e Urso, e Roberto Menia e qualcuno mi è forse sfuggito. Ma è sicuro che piacciono tantissimo a La Russa le audacie e le incursioni a rischio come questa che lo ha eletto presidente, un capovolgimento che sa un po’ di Sturmtruppen della politica e un po’ del D’Annunzio degli azzardi.
Senato, La Russa regala un mazzo di rose bianche a Liliana Segre
E c’è pure il gusto giovanile della sfida e del combattimento di Azione Giovani di cui Meloni fu segretaria, la vita da guerriero e da poeta dei campi Hobbit e della generazione Tolkien. Pochi ricordano quel videogioco “patriottico” che, nel 2011, l’allora ministra della Gioventù commissionò per insegnare ai giovani la Storia. Si chiamava “Gioventù ribelle” e si guadagnò il titolo negativo assegnato da Thunderbolt Games e Game Spot: “Brutto che supera ogni limite dei precedenti giochi più brutti. E sicuramente appartiene alla categoria dei giochi più atroci mai pubblicati”.
Certo, ieri in Senato era difficile non accorgersi di quanto godevano i Fratelli d’Italia nell’umiliare Berlusconi, che per troppo tempo ha imposto i suoi capricci e i suoi bisogni all’Italia intera, ovviamente anche di destra ed è ancora lì, con tutte le sue Ronzulli e, direbbe Gozzano, “il profumo d’istoria boccaccesca”, e con il suo conflitto di interessi e i suoi processi sempre uguali da Ruby-uno a Ruby-centomila. E sarebbe un paradosso, ma di quelli carichi di filosofia, se dopo tante battaglie perdute dalla sinistra, ora fosse la destra della giovane Giorgia Meloni a batterlo politicamente, e a liberare l’Italia di quella faccia che ormai la fa rabbrividire.È la prima battaglia, appena cominciata, di un’antichità al potere, in un Senato di vecchi, a volte allegro e più volte triste, con quel tanto che resta della follia che fu il Msi delle fogne. Arriva dai cunicoli e diventa istituzione, sia pure parodiato, non “il fascismo immenso e rosso” di Drieu La Rochelle e Giano Accame, ma “la nostra strada non va né a destra né a sinistra, va avanti dritta” di Ernst Jünger. L’opposizione ha due vie, quella dei franchi soccorritori, laboratorio politico e gabinetto di indecenze, e quella di Liliana Segre che ieri, dolce e severa, ha aperto il sipario e ci ha aperto gli occhi a tutti.