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Guerini: “L’Italia resti nel campo di Kiev e dell’euroatlantismo”

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La pandemia, il ritiro da Kabul e poi la guerra in Ucraina. I tre anni di Lorenzo Guerini come ministro della Difesa, prima con il governo Conte II e poi con Draghi, sono stati decisamente straordinari: “Questo ruolo spesso impone di confrontarsi con momenti complicati, a volte drammatici. L’invasione dell’Ucraina è certamente il più difficile, non solo per l’intensità del conflitto ma per le sue ricadute in tanti campi. Compresa la minaccia all’architettura di sicurezza europea che abbiamo costruito nei decenni scorsi”.

Avrebbe mai immaginato che in Europa potesse tornare la guerra e si tornasse a parlare di minaccia nucleare?“Credo non lo immaginasse nessuno. E anche per questo, oltre che per le sofferenze che sta provocando, l’aggressione di Putin è stata una scelta scellerata. Ingiustificabile e inaccettabile. E lo è ancor di più l’uso spregiudicato della minaccia nucleare. A cui bisogna rispondere con fermezza, mantenendo però una comunicazione strategica che non alimenti la tensione. La deterrenza è, non dimentichiamolo mai, strumento per prevenire i conflitti, non per esasperarli”. 

Il suo periodo alla guida del dicastero è stato marcato dall’impegno per ribadire il ruolo dell’Italia nell’Ue e nella Nato. Oggi pare un’ovvietà ma, soprattutto durante il governo Conte II, ci sono stati esponenti politici che hanno teorizzato una maggiore vicinanza a Mosca…“La nostra collocazione chiaramente euroatlantica è, se mi passa il parallelismo col diritto, la ‘grundnorm’ del nostro posizionamento internazionale. Ambiguità in questo senso sarebbero contro la nostra storia e il nostro interesse nazionale, inteso in senso ampio, non solo di sicurezza. Non sta a me dire se vi sono state in alcuni. Ciò che posso dire, e ne ho avuto testimonianza anche pochi giorni fa a Bruxelles, è che l’Italia è considerata uno dei Paesi più impegnati a rafforzare ogni giorno il legame euroatlantico”. 

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Di fronte all’invasione russa lei non ha avuto dubbi nel sostenere il popolo ucraino anche con le forniture militari. Questo nonostante partiti della maggioranza fossero scettici o contrari. E’ convinto che questo aiuto debba proseguire? “Non c’è dubbio. Il nostro sostegno, condiviso dal Parlamento, è stato fin qui decisivo, insieme a quello di tanti Paesi, per consentire all’Ucraina di resistere all’aggressione russa. E deve continuare, fino a quando Putin non dimostrerà di voler veramente negoziare. Per arrivare a quella ‘pace urgente e necessaria’ che, come ha detto il presidente della Repubblica, può essere raggiunta solo attraverso “il ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.

Lei ha seguito da vicino la nascita del primo nucleo della Difesa europea, concepito all’indomani dall’evacuazione da Kabul. Oggi l’invasione dell’Ucraina rende ancora più impellente un’autonomia strategica dell’Unione. Quanto sarà lungo il percorso per concretizzarla?“È un percorso ambizioso ed impegnativo. E per questo non breve. Ma è necessario per dare concretezza all’aspirazione dell’autonomia strategica europea e al rafforzamento del pilastro europeo della nostra architettura di sicurezza. Sono stati fatti passi in avanti importanti e alcune crisi, paradossalmente, come la drammatica conclusione della missione in Afghanistan, hanno dato nuovo impulso a questo cammino. La Bussola Strategica è certamente un risultato importante. Ma non basta. Occorre proseguire nel consolidamento di una più ampia e condivisa base tecnologica e industriale. E nella costruzione di più forti capacità militari. Un tema squisitamente politico più che tecnico-militare, che ha visto in questi anni l’Italia come uno dei Paesi più impegnati”.

L’interesse nazionale è la base di ogni politica di sicurezza. Contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, in Italia non sembra che ci sia grande attenzione a questo argomento, salvo poi scoprirne l’importanza con la crisi energetica e l’aumento delle bollette. Perché?“A volte sembra che la politica abbia paura a pronunciare queste parole. L’interesse nazionale è ciò che un Paese non può non perseguire, perché altrimenti farebbe un danno alla sua comunità. Poi va certamente declinato in una prospettiva cooperativa con gli altri Stati e nell’appartenenza alle organizzazioni internazionali a cui partecipiamo. Ma averne consapevolezza è necessario”.

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Lei ha realizzato un documento strategico che ribadisce l’importanza del Mediterraneo per la sicurezza dell’Italia. Molti cittadini se ne sono resi conto la scorsa estate con le missioni della flotta russa davanti alle nostre coste. Ma tanti ancora non ne sembrano consapevoli… “E dobbiamo fare di più per accrescere questa consapevolezza. La Direttiva sul Mediterraneo che ho emanato è innanzitutto, prima dei suoi contenuti, uno strumento di comunicazione. Verso l’interno e verso l’esterno. Il Mediterraneo è vitale per i nostri interessi: di sicurezza, energetici, commerciali. E’ lì che oggi si manifestano i riverberi del conflitto in Ucraina, che si sono aggiunti ad altri fattori di tensione presenti nel bacino. Per questo dobbiamo esserci. Per la nostra sicurezza, ma anche perché l’Italia per la sua storia e la sua cultura è un attore che lavora perché questo “piccolo mare”, da cui però passa un quinto del traffico commerciale mondiale, sia un luogo di incontro e cooperazione piuttosto che di tensione e competizione”. 

Lei è uno dei pochi politici ad avere fatto il servizio militare di leva. Ritiene che oggi la leva obbligatoria possa avere ancora un senso? “Riproporre oggi la leva obbligatoria sarebbe del tutto anacronistico. La professionalizzazione delle forze armate risponde a una precisa esigenza di avere uno strumento militare efficiente e tecnologicamente avanzato. Parliamo di professionisti che svolgono una formazione permanente durante la loro carriera. Altro è lavorare sulla creazione di una riserva operativa, inizialmente di diecimila unità, così come previsto dalla riforma approvata recentemente con voto unanime del Parlamento”.   

L’invasione dell’Ucraina ha imposto in tutti i Paesi la necessità di rivedere i piani per la Difesa e riformare lo strumento militare. Una trasformazione che lei ha lanciato già prima della guerra. Quali sono i punti chiave imposti dai nuovi scenari di tensione internazionale?“L’elemento caratteristico e comune a tutti gli scenari operativi odierni è uno: la condotta di operazioni interforze e multidominio. Se uno strumento militare non è in grado di operare in dispositivi interforze e in tutti i domini contemporaneamente è destinato a non essere adeguato. E se guardiamo a ciò che è successo nella prima fase del conflitto in Ucraina, con la palese difficoltà delle forze armate russe, credo che ne abbiamo la dimostrazione”.

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Dalle audizioni parlamentari dei vertici delle forze armate emerge l’esigenza di aumentare il numero di militari in servizio e rivedere gli strumenti in base al nuovo scenario mondiale. Sono trasformazioni che richiedono investimenti considerevoli. Lei è d’accordo?“Assolutamente sì. Proprio il contesto internazionale che stiamo vivendo ci ha spinto a rivedere i progetti di evoluzione del nostro strumento militare e a intraprendere un percorso in molteplici direzioni: abbiamo assicurato maggiori risorse destinate a investimenti e ammodernamento delle nostre forze armate, che sono anch’esse interessate dal salto tecnologico in cui siamo immersi e dai nuovi domini come lo spazio e la dimensione cyber”. 

In conclusione, che Difesa lascia al nuovo governo? “Una Difesa che si sta aggiornando per presidiare al meglio le sue missioni fondamentali. Composta, come ho potuto vedere in questi anni, da donne e uomini straordinari. Lo dico al di là di ogni retorica: credo che la sicurezza del Paese non possa risiedere in mani migliori”.

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