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Berlusconi a via della Scrofa. Dal Nazareno a Gemonio alla sede FdI, il Cav fuori casa ha giocato molto poco

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Sarà perché ville e palazzi dove ospitare alleati più o meno riottosi non gli sono mai mancati, ma è un fatto che Silvio Berlusconi non sia mai stato troppo propenso ad andare fuoricasa. Nei trent’anni di esercizio del suo potere, le occasioni in cui il Cavaliere è andato a Canossa si contano sulle dita di una mano. E quando l’ha fatto, spesso costretto dalle circostanze e dai rapporti di forza, non si è mai trattato di un’occasione banale. Anzi, le sue poche visite di cortesia hanno segnato dei cambi di fase politica.

Una di queste, oggi, consiste nel recarsi nella sede di Fratelli d’Italia per fare la pace e stringere sul governo con la premier in pectore Giorgia Meloni. Un unicum – l’entrata nel portone della stretta via della Scrofa – che il Cavaliere non ha mai concesso all’alleato da lui ‘sdoganato’, Gianfranco Fini, ai tempi di Alleanza Nazionale. Mentre in campo neutro, all’Auditorium di via della Conciliazione dovette consumarsi lo strappo pubblico del “Che fai, mi cacci?”.

Altra visita extramoenia simbolica fu quella che Berlusconi fece al Nazareno, per siglare con lo stimato neo segretario dem Matteo Renzi il celebre patto omonimo su riforme e legge elettorale. Scarpinata per le scale immortalata in una iconica foto che invero servì più all’ospitante che all’ospitato. Era gennaio 2014, di lì a poco il primo avrebbe fatto sloggiare da un altro Palazzo (Chigi) l’allora premier Enrico Letta.

Leggerezze. Chissà che non avesse ancora in testa la vittoria da trasferta Champions riportata nello studio dell’acerrimo rivale mediaticoMichele Santoro, lui nei panni dell’ospite sgradito che enfatizza il non sentirsi a suo agio lontano da Cologno Monzese o dalla scrivania di Porta a Porta, e con gesto teatrale pulisce con il suo fazzoletto la sedia diMarco Travaglio.

Dell’altro grande amico/nemico, Umberto Bossi, si registra invece l’invito nella villa unifamiliare – in vendita – di Gemonio, varesotto. Era il 2007 e il senatur, in ripresa dopo l’ictus, ospitò sotto il pergolato del giardino, seduti su una panchina di pietra, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini per un vertice fra i leader dell’allora Casa della Libertà. Roberto Calderoli officiante, i tre trovarono l’accordo sulla legge elettorale.

Con Bossi, comunque, nei tempi che furono, dimentico dello sgarbo estetico della canotta a Villa Certosa, il Cav aveva stabilito il rito della cena del lunedì ad Arcore, nell’amata Villa San Martino. A riprova delle sue attitudini domestiche. Anche se vale la pena ricordare che un momento fondamentale per ritrovare l’armonia perduta dopo il Ribaltone del ‘95 fu un’assemblea dei costruttori del 2000 in cui venne suggellato un nuovo patto. E la location, Verona, nodo infrastrutturale della Padania, in qualche modo può essere considerata una trasferta non priva di pericoli – il suo amato Milan anni prima ci perse anche uno scudetto – per l’uomo abituato a sedurre tra le mura amiche.

Dalla primordiale titubante via dell’Anima – due passi dal Raphael, (quartier generale di Bettino Craxi, un altro che applicava la regola militare della scelta del campo di battaglia), ai fasti  controversi di Palazzo Grazioli, fino a Villa Grande, non lontano dalla crepuscolare Appia antica.

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