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Autonomia differenziata per le Regioni: che cos’è la riforma proposta da Calderoli

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Sul tavolo dell’ultimo vertice tra Giorgia Meloni e i rappresentanti della maggioranza, la riforma delle autonomie incassa forti resistenze da parte dei governatori delle regioni del Sud. Nessun passo indietro del governo. Ma che cos’è l’autonomia differenziata?

Che cos’è l’autonomia differenziata?

È un disegno di legge che attuerà l’articolo 116 della Costituzione dove al comma 3 è scritto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia … possono essere attribuite a altre Regioni con legge dello Stato su iniziativa della Regione interessata”. In pratica, sfruttando l’onda di quella riforma costituzionale del 2001 –  che prevede materie di competenza esclusiva dello Stato ma anche 23 materie “di legislazione concorrente” (articolo 117 ) – ciascuna Regione, se lo vuole, potrà prendersene alcune o tutte le materie. Sulla base di intese tra governo e Regione partirebbe quindi un federalismo à la carte.

Cosa le Regioni potrebbero gestire?

In ballo ci sono appunto le 23 materie “concorrenti”, che il ddl Calderoli allega come promemoria. Quindi l’istruzione (fatto salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’esclusione dell’istruzione e formazione professionale); rapporti internazionali delle Regioni e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica  a all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzionale nazionale dell’energia; previdenza complementare integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Come?

Ciascuna Regione può chiedere cosa vuole gestire da sola, quali materie. Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già fatto sapere che vorrebbero tutte e 23 le materie. Però per evitare che un cittadino della Calabria sia penalizzato rispetto a uno della Lombardia in fatto di asili nido ad esempio, di scuole più efficienti, di ospedali, energia, trasporti eccetera, sono previsti i Lep.

Cosa sono i Lep?

Sono i livelli essenziali di prestazioni, ovvero il diritto ai servizi che ciascun cittadino ha, dovunque risieda, e che lo Stato si impegna a garantire.

Quali sono i nodi?

La nuova Italia del federalismo à la carte vedrebbe accentuati i divari, con un Nord che corre e un Sud che resta indietro. I Lep, cioè i pari servizi, nella bozza Calderoli devono essere varati con decreto della presidenza del Consiglio entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge. Ma se non ci sono, pazienza. Le intese verranno firmate lo stesso. Il Parlamento poi non tocca palla. Ha un compito di ratifica delle intese, non può emendare niente. Se poi il federalismo à la carte non andasse più bene, il divorzio sarà possibile solo se entrambi i partner governo e Regione sono d’accordo. Non si torna indietro. No da parte del Sud al criterio della spesa storica per l’erogazione dei servizi pubblici. Venti scuole o venti sanità regionali picconano l’unità del Paese: il fronte di chi si oppone chiede che alcune materie siano tolte dal tavolo del federalismo come appunto la scuola.

Il residuo fiscale

Calderoli ha assicurato che non ci saranno “rese” fiscali maggiori o minori che una Regione può usare per sé. Per il costituzionalista Massimo Villone, presidente del coordinamento per la democrazia che ha scritto una proposta di legge di iniziativa popolare anti Calderoli, la morale è: “Si punta a far correre la locomotiva Nord, invece che a ridurre le distanze”.

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