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La parabola del virus: un anno dopo più contagiati ma meno ricoveri

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Lo stesso numero di casi ma un quarto dei ricoveri e meno di un settimo dei decessi. Mettendo accanto le due foto della pandemia, quella scattata oggi e quella dell’anno scorso, le differenze sono evidenti. Ma per capire come è andata l’epidemia in questo autunno rispetto alla stessa stagione del 2020, e soprattutto per provare a immaginare il futuro, non basta affidarsi alle due istantanee. È necessario andare oltre.

Nella settimana tra il 6 e il 12 dicembre scorsi in Italia sono stati trovati 116mila nuovi casi, in quella tra il 7 e il 13 dicembre 2020 i positivi al virus erano stati 114mila. I due numeri sono quasi identici ma  ricoveri domenica scorsa erano 7.526 (dei quali 829 in terapia intensiva) contro i 30.893 (3.158 in intensiva) del 13 dicembre dello scorso anno. La differenza è molto più marcata se si osservano i decessi, che nella settimana conclusa da poco sono stati 636 e in quella dell’anno scorso 4.442, cioè appunto sette volte tanto. In un giorno morivano le persone che oggi perdono la vita dal lunedì alla domenica.

Intervenendo alla Camera, il premier Mario Draghi ha insistito sul concetto. “I dati di oggi descrivono un quadro molto diverso rispetto all’anno scorso. Il numero totale di persone attualmente positive al virus in Italia è 297 mila. Dodici mesi fa erano 675 mila, nonostante un livello di restrizioni molto maggiore”.

Le cose quindi vanno molto meglio dal punto di vista della gravità delle infezioni e questo è dovuto al vaccino, che protegge soprattutto dalle forme gravi di Covid. Bisogna però tenere conto di una cosa importante. Se l’anno scorso nella seconda settimana di dicembre la curva dei casi era in discesa, quest’anno stiamo affrontando una salita. La prospettiva preoccupa. “I ricoveri risentono dei nuovi casi trovati circa 15 giorni prima – spiega Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano – Due settimane fa avevamo 82mila casi, l’anno scorso, sempre 14 giorni prima del periodo preso in considerazione, erano 176mila”. Quindi i numeri del 2020 erano figli dei picchi raggiunti precedentemente, mentre quest’anno stiamo ancora salendo. “E la situazione potrebbe peggiorare se non si interviene”, spiega La Vecchia. Ecco perché osservare le foto degli ultimi dati può non essere sufficiente. E poi, sullo sfondo, c’è la variante Omicron, che potrebbe scombinare ancora di più le carte.

Riguardo a cosa succederà nel futuro, tra Natale e il prossimo anno al netto dell’arrivo della variante, il professor La Vecchia indica due possibilità. “Se va bene potremmo fare come il Regno Unito, che da tempo è intorno ai 40mila casi al giorno ma ha un numero di decessi stabile, tra i 100 e i 120 quotidianamente. Se invece le cose vanno male può succederci qualcosa di simile alla Germania, che sempre stando intorno ai 40-50mila casi ha superato i 300 morti al giorno di media. Io comunque non credo che ci sarà un livellamento della curva a Natale”.

Per avere i numeri migliori, che poi vuol dire evitare tante morti, è necessario insistere su quello che ha permesso fino ad ora di avere dati molto più positivi rispetto a quelli dell’anno scorso, quando era stato anche fatto il lockdown, cioè la vaccinazione. “Siamo in una fase di calo dell’effetto per chi ha avuto le somministrazioni da oltre 3 mesi. Bisogna che le persone corrano a fare la terza dose – dice La Vecchia – Le percentuali di copertura con il booster degli anziani sono ancora troppo basse. E vanno molto male quelle dei cinquantenni. È stato un errore aprire a tutti la nuova fase della campagna, bisognava prima concentrarsi sugli adulti e sugli anziani. E invece sono soprattutto i giovani che si presentano agli hub per fare il richiamo”.

Ieri in Italia le terze dosi hanno superato i 12 milioni. Le hanno fatte circa il 60% degli ottantenni che avevano ricevuto le prime due somministrazioni ma solo il 20% dei cinquantenni. “L’abbassamento della curva, con i servizi sanitari che possono reggere la pressione, si ottiene solo se si aumenta la copertura con il booster negli over 50”, insiste l’epidemiologo: “È l’unico modo che abbiamo per salvare delle vite”.

La percentuale di non vaccinati presenti nelle rianimazioni dei 16 ospedali sentinella individuati da Fiaso, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, è del 74%. Nella settimana 7-14 dicembre sono cresciuti sia i pazienti con ciclo vaccinale completo sia non vaccinati per un incremento complessivo del 17%. I vaccinati in rianimazione hanno in media 70 anni e nell’80% dei casi sono affetti da altre patologie. Tra i no vax, invece, solo il 52% ha comorbidità e l’età media scende a 64 anni. “Urgente la terza dose per i fragili a 28 giorni”, dice Fiaso. Per le ospedalizzazioni generali lieve decelerazione della crescita.

In 7 giorni, secondo la rilevazione Fiaso l’incremento delle ospedalizzazioni per Covid è stato pari all’8% con una lieve decelerazione rispetto al 7 dicembre. Crescono anche i ricoverati in Terapia intensiva del 17%, un dato atteso sulla base dell’andamento dei ricoveri nelle settimane precedenti: i pazienti che arrivano in Rianimazione lo fanno di solito dopo 5-6 giorni di ricovero in altri reparti. L’aumento si concentra soprattutto tra i pazienti affetti da gravi patologie che, vaccinati da oltre 4 mesi, non hanno ancora ricevuto la terza dose.

Tra i ricoverati nei reparti ordinari i pazienti vaccinati hanno in media 74 anni e nel 79% dei casi sono soggetti fragili con comorbidità. Mentre i non vaccinati sono in media più giovani, circa 65 anni, e solo la metà di loro è affetta da patologie. “Il 50% dei pazienti Covid non vaccinati dunque – sottolinea Fiaso – è costituito da persone in buona salute”.

Per quanto riguarda il focus sulle terapie intensive, invece, l’incremento dei vaccinati – rileva la Fiaso – è da attribuire quasi esclusivamente a pazienti fragili a cui è stato somministrato il vaccino con doppia dose da oltre 4 mesi e che non ha ancora ricevuto la terza dose. In una settimana, infatti, in Rianimazione sono aumentati del 45% i soggetti vaccinati: tutti vaccinati da più di 4 mesi e per l’80% affetti da altre malattie.

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