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Messina Denaro, i cinque “uomini d’oro” della Cupola degli affari che ora custodiscono i segreti di Cosa nostra

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L’emissario della famiglia Gambino di New York arrivò a Favara nell’aprile di due anni fa, in cerca di una grande azienda in crisi. Da riempire di soldi. E poi fare fallire, “una cosa fraudolenta” spiegò ai siciliani. Bisognava far sparire milioni di euro. Una maxi operazione di riciclaggio. “I soldi vengono da Singapore”, dicevano i mafiosi agrigentini fedelissimi di Matteo Messina Denaro che si confrontavano sulla proposta dopo l’incontro. “Ci lasciano il 20 per cento”.

Eccolo, il capitolo più misterioso dell’inchiesta dei carabinieri del Ros e della procura di Palermo sulla primula rossa arrestata lunedì. Che porta dritto alla sua vera forza, quella delle relazioni e degli affari internazionali. Quel giorno, l’italo americano del clan Gambino era insieme a due russi. Il contatto in Sicilia era un imprenditore, che parlò della proposta con il boss palermitano Simone Castello, un tempo “postino” di Bernardo Provenzano. “C’è gente buona in America”, dicevano. E puntavano a coinvolgere un “garante” per l’operazione, il simbolo da sempre dei rapporti fra la Sicilia e l’America mafiosa, si chiama Sandro Mannino, attualmente è in carcere, è il nipote prediletto di Totuccio Inzerillo ucciso nel 1981 da Riina. Ma il capo dei capi è ormai al cimitero pure lui, dal 2017, e dopo trent’anni la sua fatwa contro i mafiosi italo americani è caduta, così loro sono tornati a Palermo, a Trapani, ad Agrigento. E vogliono riprendersi quello che un tempo era loro.

Bisogna dunque ripartire da New York per capire com’è già cambiata la mafia 2.0 di Matteo Messina Denaro. Lui è al 41 bis, ma nella Cosa nostra che conta c’è grande fermento ormai da un po’ di tempo. Sandro Mannino conosce i segreti dell’operazione messa in campo in questa nuova stagione: il ritorno in Sicilia di un pezzo del tesoro della vecchia mafia, che non è stato mai sequestrato, perché ai tempi il pentito Tommaso Buscetta – il più autorevole di quello schieramento – omise del tutto l’argomento con il giudice Giovanni Falcone. E oggi è una omissione che pesa.  

Il Sudafrica di Palazzolo

Sono gli uomini d’oro della mafia siciliana – almeno cinque – i veri eredi di Matteo Messina Denaro, una Cupola degli affari che non ha bisogno di incontrarsi, sono i patrimoni di un tempo e quelli di oggi il motore di una pericolosa riorganizzazione che preoccupa la procura di Palermo. Anche perché questa partita si gioca su uno scacchiere internazionale. E troppo spesso le armi dell’Antimafia sono spuntate. Ecco un esempio eclatante, perché questa è un’indagine iniziata dal giudice Falcone: il Sudafrica continua a non rispondere alle richieste di rogatoria avviate dalla procura di Palermo per bloccare il grande patrimonio di Vito Roberto Palazzolo, il tesoriere dei corleonesi Riina e Provenzano.

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Eppure, tre anni fa, sembrava essersi aperto uno spiraglio nella difficile inchiesta avviata dal giudice Falcone. Un importante percorso di cooperazione giudiziaria fra l’Italia e il Sudafrica aveva consentito ai magistrati e agli investigatori del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo di consultare alcuni documenti. Per la prima volta, il tesoro di Robert Von Palace Kolbatschenko, come si fa chiamare in Sudafrica, aveva preso forma in una girandola di società e miniere di diamanti in Namibia. Ma quei documenti non sono mai arrivati in Italia. Insomma, ufficialmente, il tesoro del cassiere della mafia non esiste. I magistrati hanno provato a scrivere anche alla Namibia, ma non è arrivata alcuna risposta. E questa storia è tornata ad essere la più grande beffa all’antimafia. Una beffa anche alla memoria del giudice Falcone, che negli ultimi mesi della sua vita, da direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia, aveva provato a sbloccare la richiesta di estradizione per arrivare all’arresto del finanziere siciliano.  Lui, intanto, se ne sta tranquillo all’estero dopo avere scontato in Italia una condanna a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: è rimasto in cella fino al 2019, poi ha ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali. Evidentemente, per la sua buona condotta. E qualche mese dopo è tornato un fantasma, con tutti i misteri del suo tesoro mai sequestrato.

Ritornare a Palermo

Chi invece ha scelto di tornare in Sicilia è Michele Micalizzi, uno dei superstiti del repulisti ordinato a Palermo nei primi anni Ottanta. Oggi ha 72 anni, 20 anni e 8 mesi li ha trascorsi in carcere dopo una condanna per omicidio: è tornato in libertà nell’agosto del 2015. Per un periodo è stato pure lui in affidamento ai servizi sociali, ha vissuto a Firenze.

Perché nella Palermo mafiosa di Riina non c’era ancora spazio per i “perdenti” della vecchia mafia. Il 30 novembre 1982, in una grande cena trappola organizzata da Riina a San Giuseppe Jato erano stati strangolati il suocero di Michele Micalizzi, il potente capomafia di Partanna Mondello Rosario Riccobono, poi suo fratello Salvatore, il cognato Salvatore Lauricella e il padre Giuseppe. Alla stessa ora, Michele Micalizzi scampò miracolosamente a un agguato al bar Singapore Two di via La Marmora. Da quattro anni vive a Palermo e gestisce un patrimonio milionario, quello di famiglia: nel 2008, la sezione Misure di prevenzione della corte di appello ha dovuto restituirglielo, per un cavillo. E, intanto, Micalizzi organizza pure traffici di droga, per questo è stato riarrestato dai carabinieri a metà novembre. Ma per l’età è agli arresti domiciliari, nella sua bella villa.

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La spola col Sud America

Un altro ritorno a Palermo è stato invece accolto con parole che più accorate non potevano essere. “Tu hai avuto quello che hai avuto – diceva Giuseppe Amato, uno dei titolari del rinomato ristorante Carlo V di piazza Bologni al 43enne boss Giuseppe Calvaruso – diciamo che tu sei mancato… le persone perbene come te mancano”. Sembra di sentire certe dichiarazioni di affetto mafioso nei confronti di Matteo Messina Denaro. Calvaruso era compiaciuto per le lodi dello stimato ristoratore: “E lo so”. Amato ribadiva: “Le persone come te mancano. Io, mio fratello…siamo sbandati… ora ci sei tu di nuovo… abbiamo bisogno… perché sei una persona educata… una persona di etica, di certi principi… Questo è il discorso. E bisogna sempre andare a migliorare nella vita. Gli amici ci vogliono, Peppe”. Parole che valgono più di un trattato di sociologia criminale. Il boss che diventa un amico, una “persona educata, di certi principi”. E’ davvero il modello Messina Denaro. Calvaruso viaggiava tanto fra il Brasile e la Sicilia. Un boss manager, già diventato un idolo nel popolo di Cosa nostra. Come un altro “vecchio”, Francolino Spadaro, aristocrazia corleonese, che non disdegna di fare selfie pure lui, con un cantante neomelodico. Proprio come Messina Denaro alla Maddalena. E, intanto, dopo la scarcerazione è andato ad abitare nel palazzo accanto casa del giudice Falcone: Spadaro è il mafioso più autorevole di Cosa nostra in circolazione a Palermo. 

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