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Quasi 5.000 episodi di aggressioni in corsia in tre anni, ovvero circa 1.600 l’anno, dalle minacce fino a lesioni più o meno gravi. E in 7 casi su 10 la vittima è una donna. In vista della Giornata nazionale di educazione e prevenzione delle aggressioni contro gli operatori sanitari, che si celebra il 12 marzo, a fare il punto è l’analisi della Consulenza statistico attuariale Inail. Un “fenomeno preoccupante”, secondo il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ricorda l’aumento dei posti di polizia presso gli ospedali, ma allo stesso tempo invita i cittadini a ridurre gli accessi impropri al pronto soccorso.
Il 70% delle vittime sono donne
I dati sugli infortuni sul lavoro sono stati accertati dall’Inail e codificati come aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario, nel triennio 2019-2021 sono stati esattamente 4.821. Dalle guardie notturne ai pronto soccorso. Il 71% ha riguardato le donne, mentre il 39% dei casi interessa gli operatori sanitari da 35 a 49 anni, il 37% da 50 a 64 anni. La professione più colpita è quella di infermieri ed educatori impegnati con tossicodipendenti e alcolisti. Seguono, con il 29% dei casi, gli operatori socio-sanitari. Più distaccata, con il 3%, la categoria dei medici. “Le denunce all’Inail, però, sono molto meno di quelle reali, perché ormai praticamente non si denunciano più le aggressioni verbali, che però, alla lunga, si traducono in stress, burnout e abbandono della professione”, sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Fnopi).
Aumentati i posti di polizia
“Abbiamo visto, negli ultimi tempi – ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci – un crescente numero di episodi di aggressione a danno degli operatori sanitari e questo è anche un problema culturale, perché chi arriva in pronto soccorso deve capire che chi ha il camice bianco è lì per aiutarlo”. Per questo “stiamo avviando una campagna di sensibilizzazione e abbiamo aumentato, in collaborazione con ministero dell’Interno, il numero di presidi di polizia presso i presidi ospedalieri”.Per fermare l’escalation è stata approvata nel 2020, sulla scia della pandemia Covid, una legge che prevede un aumento della sanzioni penali in caso di violenza al professionista sanitario ed è stato istituito un Osservatorio ad hoc. “Circa il 68% degli operatori sanitari nel corso della vita – afferma Filippo Anelli, presidente degli Ordini dei Medici (Fnomceo) – è stato vittima di almeno un episodio di violenza, dagli ambulatori di psichiatria alle guardie notturne: centrale sarebbe prevedere la figura di un mediatore in grado di spiegare ai cittadini, nei momenti di tensione che possono verificarsi nei luoghi di cura, cosa sta avvenendo. E poi serve il restituire il giusto tempo alla cura, cosa impossibile quando i pazienti sono tanti e sanitari troppo pochi”.
Lazio e Campania, gli ospedali più colpiti
Per questo, oltre a informare e comunicare, bisogna agire su più fronti: “è importante – ha ricordato Schillaci – anche contrastare la carenza di medici, rendendo le professioni sanitarie più attrattive, aumentando le retribuzioni e rendendo il luogo di lavoro più sicuro e migliore”, spiega Schillaci. “Di pari passo, dobbiamo però anche ridurre gli accessi impropri nei reparti di emergenza e urgenza perché oggi dal 60% a 80% di coloro che si recano in pronto soccorso, lo fa in modo inappropriato”. Contro le aggressioni agli operatori sanitari “qualcosa si è mosso, ma non abbastanza”, denunciano gli infermieri del sindacato Nursing Up. Il ministero dell’Interno ha reso noto di aver attivato 51 nuovi presidi di sicurezza negli ospedali. Ma “da una nostra ricognizione in ospedali più colpiti al fenomeno in Campania e nel Lazio, i presidi di pubblica sicurezza disposti non sono previsti in orari notturni e nei fine settimana, che rappresentano gli orari più rischiosi”. Intanto, Federsanità e dalla Società di medicina di emergenza e Urgenza (Simeu) puntano sulla disseminazione di buone pratiche: dalla formazione su come sviluppare empatia con i pazienti agli strumenti normativi per autotutelarsi, fino al coaching su come comportarsi in caso di aggressione. Sono 92 i progetti per la prevenzione attuati negli ospedali di 17 regioni che sono stati selezionati grazie all’iniziativa “Curare violenza”, che adesso diffonderà queste best practice attraverso 4 ‘spazi virtuali di informazione’.