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“Caso Montesi”, 70 anni fa un delitto rimasto senza colpevoli: il primo caso mediatico dell’Italia repubblicana (e democristiana)

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“Fiori bianchi sul feretro della ragazza morta a Ostia. Una disgrazia secondo la polizia”. “La polizia ha scelto la versione della disgrazia. Molti punti oscuri”. Sono i due titoli che Corriere della Sera, da un lato, e Paese Sera dall’altro, dedicano il 17 aprile 1953 al ritrovamento di Wilma Montesi, 21 anni, romana, fidanzata, promessa sposa entro l’anno, figlia di un falegname, il corpo riverso sulla battigia di Torvaianica, a sud di Ostia, sei giorni prima, sabato 11 aprile. Fino ad allora dell’episodio non v’è alcuna traccia sui giornali. Eppure da quest’oscura morte nasce il “caso Montesi”, ancora irrisolto a 70 anni di distanza, il delitto più clamoroso dal dopoguerra in poi, perché finisce per coinvolgere governo e opposizione, magistrati e giornalisti, prelati e poliziotti “e porterà la società politica democristiana sull’orlo di un baratro”, annotano gli storici. In sè, divide l’Italia e gli italiani in due campi contrapposti mettendo in rilievo luci e ombre del loro carattere: sete di giustizia, moralismo, rissosità, mitomania, sospetto, intrigo.

Proprio l’11 aprile 1953 Fortunato Bettini, giovane manovale, stava andando a lavorare in un villino in costruzione quando notò sulla riva del mare qualcosa che sembrava una persona addormentata; si avvicinò e scoprì invece il cadavere di una giovane donna bruna, che giaceva a pancia in giù, parallela al mare, cullata dalle onde, con il capo poggiato sul braccio sinistro e reclinato verso destra. Senza scarpe, calze, gonna: soltanto sottoveste e mutandine, un golfino di lana gialla e la giacca stesa sulle spalle.

La spiaggia del ritrovamento del corpo 

È il primo scandalo dell’Italia repubblicana, tant’è che 50 anni dopo, nel 2003, non manca chi lo accosti al “caso Tangentopoli”, esploso nell’Italia del 1992, intrecciando politica e cronaca e seppellendo pure la Prima Repubblica. Il cadavere di Wilma Montesi viene ritrovato a Torvaianica la mattina dell’11 aprile, cullato dalle onde, privo di alcuni indumenti intimi, calze e reggicalze. Subito si pensa a un malore: la ragazza è forse svenuta, poi annegata, le correnti hanno trasportato il corpo. La tesi del “pediluvio”, accreditata dal questore di Roma Saverio Polito, suscita però perplessità e il sarcasmo dell’opinione pubblica per via della fretta con cui è accreditata. Come se prevalesse la voglia di chiudere presto il caso. Non viene scartata nemmeno l’ipotesi del suicidio.

“La Domenica del Corriere” del giugno 1957 

Politica e scandali

Subito dopo il pranzo del 9 aprile, Wilma incoraggia mamma e sorella ad andare al cinema, lei invece sceglie una passeggiata. La portinaia la vede uscire, c’è chi l’avvista sul treno per Ostia in compagnia d’un uomo, ma sono testimonianze confuse. Di andare a Ostia Wilma non ha mai parlato. Le indagini riprendono i primi di maggio, e il Roma di Napoli, quotidiano monarchico, si chiede: “Perché la polizia tace sulla morte di Wilma Montesi?”. L’autore del fondo è il direttore del periodico d’estrema destra Il merlo giallo su cui appare una vignetta allusiva: il reggicalze sparito è portato in questura da “piccioni” viaggiatori. Paese Sera incalza: “Gli indumenti intimi di Wilma Montesi sono stati consegnarti dal ‘biondino’ alla polizia/ Il giovane sarebbe il figlio di una personalità politica”.

Wilma Montesi 

Attilio Piccioni è il democristiano vicepresidente del Consiglio, il “biondino”, suo figlio Piero, è un musicista assai noto del mondo Rai, del cinema, del jazz e del jet set. A indicare il suo nome è il settimanale comunista Vie nuove. Da dove esca fuori il nome non si sa. Piccioni querela e le smentite del questore sembrano chiudere il caso. Del quale, per mesi, non si parla più, per poi rispuntare il 6 ottobre 1953 su un rotocalco romano, Attualità, diretto da Silvano Muto. L’articolo ha l’effetto di scatenare la magistratura che, tramite il procuratore capo di Roma, Angelo Sigurani, denuncia il giornalista per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”.

La diffamazione e il quadripartito

In dicembre il magistrato archivia e, contestualmente, fissa il processo per diffamazione contro Muto, che nell’udienza del 28 gennaio 1954 accenna a “orge a base di stupefacenti” a Capocotta, vicino al litorale di Tor Vajanica, riserva di caccia amministrata da Ugo Montagna, marchese di San Bartolomeo. Questi, vicino a diverse personalità politiche e del mondo degli affari, ha un legame anche con Anna Maria Moneta Caglio, la figlia di un notaio milanese soprannominata ‘Cigno nero’ dalla giornalista Camilla Cederna per via del collo lungo, da mannequin, che spuntava bianco ed elegante dai pullover immancabilmente neri. Moneta Caglio, convinta di essere vicina alla verità sulla ragazza, consegna un memoriale a un gesuita che lo fa arrivare al ministro dell’Interno Amintore Fanfani.

Anna Maria Moneta Caglio 

L’esponente Dc fa sentire la donna da un colonnello dei carabinieri per due volte. Quando Muto racconta questi segreti e intrecci nell’udienza per la diffamazione di gennaio, il “caso Montesi” riesplode come una bomba. L’opinione pubblica si divide tra colpevolisti e innocentisti. Montagna si difende e dice di non aver mai conosciuto Montesi, il questore di Roma ribadisce la tesi del pediluvio, Moneta Caglio si nasconde temendo d’esser uccisa.

In quei giorni il caso di cronaca s’intreccia col tentativo fallito di Fanfani di formare un governo monocolore. Nasce invece un quadripartito, Fanfani è fuori, Attilio Piccioni agli Esteri, Scelba premier e al Viminale. Il caso investe pure il Parlamento con l’interrogazione del missino Franz Turchi che si rivolge a Scelba per chiedere cosa intenda fare per tranquillizzare Parlamento e opinione pubblica. Sui giornali scrivono anche Ingrao, direttore de l’Unità, Palmiro Togliatti segretario del Pci, il socialista Pietro Nenni, il direttore del Corriere Mario Missiroli per dire nel suo primo articolo di fondo che l’affare Montesi “è qualcosa di più di uno scandalo giudiziario () è un avvenimento politico che impegna tutta  la democrazia italiana”.

Il “Corriere della Sera” con la notizia delle dimissioni di Attilio Piccioni 

Il primo caso mediatico

Il 19 marzo 1954 Moneta Caglio, in tribunale, fa nuove rivelazioni. Pur negando di aver mai partecipato a festini a base di sesso e droga che si tenevano a Capocotta, indica l’ex amante Montagna e Piero Piccioni come i responsabili della morte della ragazza. Il 21 marzo il tribunale sospende il processo per diffamazione contro Muto e i magistrati avviano un’istruttoria formale sulla morte di Tor Vajanica; il 19 settembre Attilio Piccioni si dimette dalla Farnesina quando il figlio Piero viene arrestato per omicidio colposo, per altro difeso dagli stessi genitori della vittima. Lo “scandalo Montesi” è ormai fulcro di lotta politica. Tirato in ballo da un articolo è pure lo zio della ragazza, Giuseppe Montesi, sospettato per il morboso attaccamento a Wilma, ma in pochi giorni “l’operazione Giuseppe” si sgonfia.

“La Domenica del Corriere” del settembre 1954 

Il 16 novembre scoppia un’altra bomba: il professor Giuseppe Sotgiu, presidente comunista della Provincia di Roma, viene fotografato davanti al civico 15 di via Corridoni, casa d’appuntamenti frequentata insieme alla moglie. Viene arrestato. Le sinistre accusano il colpo. Il 19 novembre Piccioni e Montagna escono da Regina Coeli in libertà provvisoria. A fine anno le polemiche si fanno meno incandescenti ma l’affaire Montesi va avanti fino al 27 maggio 1957 quando la corte d’assise di Venezia assolve con formula piena Piccioni, Montagna, Polito e altri nove imputati minori. A rimetterci è Moneta Caglio, che paga caro le “false incolpazioni” rivolte a Piccioni e Montagna con una condanna a due anni e mezzo di reclusione per calunnia.

La moglie di Ugo Montagna su “Oggi” 

Il processo dura oltre quattro mesi: quotidiani e settimanali non fanno mancare al pubblico davvero nulla, scrivendo sulla vicenda lenzuolate di pagine. È il primo grande processo mediatico. La sola tiratura dei giornali della Capitale “cresce, nei periodi di punta dello scandalo, da un minimo del 50% al 200%”. La parte del leone, tra i quotidiani del pomeriggio, la fa Paese Sera. Nasce anche un modo nuovo di “fare giornalismo”, tra indiscrezioni, investigazione e scavo, talvolta morboso, nella vita delle persone coinvolte o solo lambite dalla vicenda. Sullo sfondo, però, resta sempre la morte di una ragazza, un giallo che resterà per sempre insoluto.

Polizia e curiosi sulla spiaggia di Tor Vajanica all’indomani della scoperta del corpo 

Negli anni tutti i protagonisti della vicenda vengono a mancare. Tra questi, il marchese Montagna che muore nel 1990, a 80 anni. Piccioni, diventato uno dei più noti autori di colonne sonore per il cinema italiano, specialmente nel campo della commedia all’italiana, dove crea un formidabile sodalizio umano e professionale con Alberto Sordi, si spegne a Roma nel 2004 all’età di 83 anni. Il 13 febbraio del 2016, a 86 anni, scompare Moneta Caglio, nella sua residenza a Caponago, nella provincia di Monza e Brianza. Solo tre anni prima la sesta sezione penale della Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso della donna contro l’ordinanza con cui la corte d’appello di Perugia, il 23 giugno 2012, aveva respinto la sua istanza di revisione della condanna per calunnia. Nel rivolgersi alla Cassazione, la signora chiedeva l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, definendo la sentenza di condanna a suo carico viziata da “mancanza di equità, imparzialità, indipendenza e falsità”. Una sorta di “proclamazione di innocenza”, dunque, che i supremi giudici avevano ritenuto assolutamente inidonea ad annullare quel verdetto di condanna.

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