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VENEZIA. “Mi ha chiamata disperato, mi ha detto che non lo facevano più uscire, temeva di aver perso tutto: il lavoro, la famiglia”. Lei ha cercato di tranquillizzarlo: “Dai Bassem, vedrai che tutto si risolve”. E però, preoccupata, ha telefonato al carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia, per dire che il marito era disperato e voleva uccidersi, per chiedere che qualcuno andasse a controllare. “Alle 15.40 mi hanno telefonato per dirmi che mio marito, Bassem Degachi, si era suicidato”. Per questo ora la moglie, Silvia Padoan, chiede giustizia. “Pretendo di capire che cosa è successo. Mio marito stava uscendo dal tunnel dei brutti giri. E invece adesso è morto”.
È una storia con molti aspetti ancora da chiarire quella di Bassem Degachi, tunisino residente a Marghera che il prossimo 11 agosto avrebbe compiuto 39 anni. Ieri mattina stava per uscire dalla sua sezione, come tutti i giorni, per andare al lavoro alla remiera di Sant’Alvise che collabora con la cooperativa sociale “il Cerchio” per il reinserimento lavorativo dei detenuti. Degachi, in carcere da due anni e mezzo per spaccio di droga e in regime di semilibertà da poco meno di un anno, stava aspettando l’udienza di settembre per l’ulteriore passaggio dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Poco prima di uscire dal carcere è stato bloccato perché destinatario, nell’ambito di una vasta operazione contro lo spaccio di droga in via Piave a Mestre, di un’ordinanza di custodia in carcere: arrestato per reati risalenti alla fine del 2018 e all’inizio del 2019. Degachi era accusato di aver comprato da alcuni albanesi alcune partite di eroina per poi rivenderla al dettaglio ai clienti di quel gran bazar della droga del Triveneto che è via Piave.
Una vita turbolenta quella di Degachi, tra consumo e spaccio di droga. In carcere per reati commessi dal 2017 al 2020, tre distinti procedimenti poi unificati. Ma in questi due anni e mezzo il suo percorso carcerario sarebbe stato esemplare. Ieri, quando gli è stata notificata l’ordinanza, ha pensato che ogni suo sforzo era stato vano. E che sarebbe stato costretto e rimanere in carcere: addio lavoro al cantiere, addio permessi premio, addio messa alla prova. “Stava uscendo dal tunnel, al cantiere erano contentissimi di lui”, racconta ancora la moglie. “La prima volta mi ha chiamato poco dopo le 9 con il telefono in uso al carcere, era disperato. Poi mi ha chiamato altre volte. Io ho sempre cercato di tranquillizzarlo, di fargli capire che una soluzione si sarebbe trovata e che non avrebbe perso il lavoro”. L’ultima telefonata alla moglie, che era insieme alla cognata, è delle 12.21. Bassem Degachi ha pronunciato queste parole: “Scusami amore, dì alla mia famiglia che le voglio bene”.
“Ho chiamato tre volte il carcere, il centralino, spiegando che mio marito era disperato e voleva uccidersi”, aggiunge Silvia Padoan “e mi hanno sempre detto di stare tranquilla. Però poi mi hanno chiamato che si era suicidato. Qualcuno è andato a vedere come stava, qualcuno ha preso in considerazione le mie parole? Non accuso nessuno ma voglio una risposta“. Per questo presenterà denuncia. Anche l’avvocato dell’uomo, Marco Borella, è sconvolto. “Sono estremamente colpito da quello che è successo. Era un persona che stava uscendo da quel giro, che si stava impegnando nel lavoro, anche dal cantiere dove prestava servizio sono arrivati solo apprezzamenti”. A Natale Degachi aveva avuto un permesso premio ed era tornato qualche giorno a casa dalla moglie. Tra pochi giorni ne avrebbe avuto un altro. Nel merito del suicidio, di cui si sta occupando la procura veneziana, la direzione del carcere non entra. “Questa vicenda ci tocca profondamente sul piano umano”, si limita a dire la direttrice Immacolata Mannarella, “siamo tutti molto scossi”.
“Ieri lo Stato ha fallito. Nel carcere di Venezia è si e suicidato un detenuto cui hanno revocato il beneficio della semilibertà”, denunciano Gianpietro Pegoraro, coordinatore regionale Cgil della Polizia penitenziaria e Franca Vanto, della segreteria Fp Cgil, “sicuramente nessuno ne piangerà la perdita e nessuno farà qualcosa per limitare i suicidi in carcere e, come al solito ci saranno tante parole ma nulla si muoverà. Come Fp Cgil denunciamo lo scarso interesse e l’assenza dell’amministrazione penitenziaria che non fa nulla sia per i suicidi in carcere che per le aggressioni al proprio personale e non investe in progetti di recupero e di tutela del personale mantenendo carceri come quello di Santa Maria Maggiore, privo di spazi e in sovraffollamento con situazione acuita dalla mancanza di personale”.