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Roma – È disposto ad andare allo scontro. Lo fa per difendere la crescita e raffreddare la curva di gennaio, che promette una crisi pesante sul fronte dei contagi e delle ospedalizzazioni. Mario Draghi vuole il 2G per il mondo del lavoro, anche se presenta rilevanti problemi tecnici e giuridici, anche se i tempi per scrivere il decreto sono strettissimi. Ha difeso in queste ore la scelta, scontrandosi con Lega e Movimento. E lo farà anche domani, in consiglio dei ministri. Opponendosi a un asse inedito, quello che nel 2018 era il fronte populista gialloverde.
A capo della fronda c’è infatti Giancarlo Giorgetti. Il leghista non solo non vuole sentire parlare di obbligo vaccinale, neanche se circoscritto agli over 18. È ostile anche al Super Green Pass ai lavoratori. E continua a esserlo nonostante il fatto che Renato Brunetta gli abbia spiegato che i “fragili” restano comunque tutelati: «Non lo sono, non è vero — si è infuriato ieri nel corso di un lungo braccio di ferro con Palazzo Chigi — state sbagliando!». Sembra Salvini, più che il capodelegazione “draghiano” del Carroccio.
A dargli una mano, ieri, sono stati i grillini. I ministri 5S Stefano Patuanelli (il più vicino a Giuseppe Conte) e Fabiana Dadone — che ha preceduto Brunetta a capo della Pubblica amministrazione, e che certo non ha voglia di aiutare l’azzurro — si mostrano sensibili alle ragioni dei sindacati autonomi. Spingono con decisione sull’estensione generalizzata dello smart working. Ritengono che possa essere una valida alternativa al 2G. E si mettono in rotta di collisione con il presidente del Consiglio, che soprattutto per il settore pubblico preferirebbe non sentire parlare di lavoro da remoto. Draghi insomma si prepara a tirare dritto. E lo fa perché ha in tasca due dati che non consentono mediazioni.
Il primo: la crescita del Pil. Il mese di dicembre ha visto volare l’indice Pmi manufatturiero, tanto da far ritenere che il prodotto interno lordo 2021 potrebbe andare oltre il 6,3% previsto e attestarsi attorno al 6,5%. Di fronte all’impennata di Omicron, tirare dritto sul 2G — ed evitare nuove paralisi del Paese — significa prima di tutto difendere la crescita.
Ma è soprattutto un secondo dato a convincere il premier della necessità di agire. Quattro notti fa, i tecnici dei ministri del G7 e di alcuni Paesi europei hanno ricevuto i dati inglesi su Omicron, vaccini e ospedalizzazioni. Sono serviti tre giorni di lavoro per “tradurli”. Cosa dicono? Che la nuova variante spinge al ricovero con una frequenza che si attesta tra la metà e un terzo della Delta. In altri termini: a parità di dosi di vaccino ricevute (o non ricevute), Omicron ospedalizza il 60% in meno di Delta. Il booster, inoltre, ha una copertura sulla variante dell’85% sui ricoveri gravi e del 65-70% sul contagio. Numeri positivi, ma non abbastanza: a fronte di una diffusione che corre a una velocità mai vista, è prevedibile un grave picco di positivi e di ospedalizzati durante gennaio. Già in settimana dovrebbe essere sforata quota 200 mila malati al giorno. E attorno alla metà del mese le strutture sanitarie potrebbero subire un doloroso assalto. Poi, entro metà febbraio, la nuova variante dovrebbe rallentare con decisione.
In questo mese d’emergenza, allora, bisogna intervenire. Evitare la tempesta perfetta. Con il 2G, a costo di stroncare Giorgetti. E di deludere i grillini. Patuanelli, che pure a livello personale non sarebbe ostile al vaccino obbligatorio, ha fatto sapere che il Movimento non reggerebbe a una soluzione così drastica. E ha messo agli atti pesanti dubbi sul 2G. «Meglio allargare la platea dello smart working», è la linea. Brunetta, che da mesi prova a riportare in ufficio gli statali, si è messo di traverso. «Meglio evitare, le regole già ci sono e funzionano».
Il problema, però, resta: come sedare la curva, senza limitarsi al 2G? È una esigenza ben chiara anche alla delegazione del Pd e al ministro della Salute Roberto Speranza. Le opzioni sul tavolo restano tre: rinviare la riapertura delle scuole — per unanime ammissione la vera emergenza del momento — oppure chiudere cinema, teatri e stadi, o infine favorire il lavoro da remoto. Draghi pretende che le lezioni scolastiche non subiscano slittamenti, anche perché tutelarle significa assicurare ai genitori la possibilità di lavorare: nei fatti, un asset anche economico decisivo. È complesso poi ipotizzare una stretta nei luoghi culturali e di svago, dopo due anni di dolorose chiusure. Resta soltanto lo smart working. Alla fine, per superare lo stallo politico, Draghi potrebbe imporre un compromesso, prevedendo una quota di “lavoro da casa” nel settore privato, fino alla metà di febbraio. La platea interessata è vastissima: cinque milioni e mezzo di autonomi e 16 milioni di dipendenti di aziende private. Anche solo a ridurre di un terzo le presenze, l’effetto sarebbe imponente.