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I segreti di Omicron, la variante che ci fa sperare nella fine della pandemia

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A due mesi dalle prime descrizioni di Omicron proviamo a mettere ordine sulle conoscenze attuali sul virus, su come alcuni suoi aspetti peculiari hanno influenzato questa fase pandemica, e su come meglio contrastarlo basandoci su tali conoscenze.

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1) Omicron è più trasmissibile di Delta e altre varianti, che sta rimpiazzando ovunque. Questo è dovuto all’alta affinità di questo virus per il suo recettore ed alla capacità di aggirare (in parte, non totalmente) le risposte immunitarie anticorpali.

2) Omicron è meno patogenica di Delta sia a livello clinico (riduzione della mortalità del 91% in uno studio su 70.000 pazienti in California) che nell’animale di laboratorio.

3) La minore patogenicità di Omicron è in parte intrinseca e sembra legata alla minore capacità di infettare le cellule polmonari (e quindi di causare polmonite severa).

4) Al momento non sappiamo se e quanto le caratteristiche chiave di Omicron – più trasmissibile, meno patogenica – siano legate da una relazione causale oppure si siano sviluppate in modo indipendente. 

5) Omicron è più efficace di altre varianti nell’infettare persone vaccinate, ma in questi casi la malattia è quasi sempre molto lieve. In altre parole, i vaccini sono poco efficaci nell’evitare i contagi, ma funzionano bene nel prevenire l’infezione severa
Dal punto di vista epidemiologico, la transizione da Delta ad Omicron sta assumendo forme che paiono costanti in vari contesti geografici: rapido aumento dei contagi, che raggiungono numeri mai visti in precedenza, seguito da rapida discesa (vedi Sudafrica, UK, New York, eccetera); molte ospedalizzazioni di soggetti con infezione attiva da Sars-CoV-2 (sia “per Covid” che “con Covid”), ma numero molto minore di ricoveri in terapia intensiva rispetto alle precedenti ondate; mortalità da Covid in genere piuttosto contenuta e in gran parte legata a infezioni residue da Delta e/o a un’incompleta vaccinazione. 

In questo contesto – in base al quale alcuni studiosi, come Tony Fauci, parlano di “Covid che sta diventando un raffreddore” – l’approccio adottato da quasi tutti i Paesi occidentali, pur con varie sfumature (aperturista in Usa, Regno Unito, Israele, Spagna e Scandinavia, più chiusurista in Olanda e Canada, con Italia, Francia e Germania che stanno nel mezzo) è di insistere in modo costante e incisivo con i programmi di vaccinazione di massa, comprese terze dosi e vaccinazione dei minori, cercando al contempo di ridurre il più possibile ogni restrizione generalizzata – cioè che coinvolga anche i vaccinati. In questo senso si è sviluppato, nella fase Omicron della pandemia e con la disponibilità di vaccini e antivirali (Sotrovimab e Paxlovid in primis), un notevole consenso circa la modesta efficacia e assoluta insostenibilità dei metodi di controllo del virus basati sulla separazione forzata a oltranza tra le persone (i cosiddetti lockdown).

Importante anche sottolineare la necessità di potenziare la ricettività del servizio sanitario, ricordando come tutto lasci presagire che Covid si endemizzerà, mantenendo probabili picchi stagionali di incidenza ai quali bisognerà essere preparati al meglio. Su come incentivare nel modo migliore l’adesione alla campagna vaccinale e quindi il raggiungimento di adeguate coperture nella popolazione merita torneremo in altri articoli; al momento mi preme ricordare come la vaccinazione di massa sia il modo migliore per contrastare l’ipotetica ma sgradevole possibilità di nuove varianti che coniughino la trasmissibilità di Omicron con l’aggressività di Delta. 

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P.S. Molti chiedono: ma se tanti si infettano anche se vaccinati, l’immunità a cosa serve? Risposta: la protezione immunitaria non è un fenomeno in bianco e nero, ma segue alcune linee generali. Tra queste il fatto che il sistema immune protegge meglio gli organi profondi (polmone in questo caso) che non le porte di ingresso mucosali (naso, bocca, ecc.); protegge meno bene i soggetti anziani e/o debilitati; la protezione specifica cala nel tempo ma viene rapidamente riattivata grazie alla “memoria immunologica” (da cui l’importanza dei richiami). Non so quanto abbia risposto, ma spero almeno di aver fornito spunti per riformulare la domanda iniziale.

Guido Silvestri, 59 anni, patologo, immunologo, virologo e accademico italiano. È professore e direttore di Dipartimento alla Emory University di Atlanta

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